TORQUATO ACCETTO UN MORALISTA TRANESE DEL SEICENTO*



Il 4 Giugno del 1988, per iniziativa dell’Assessorato alla cultura del Comune di Trani, si tenne al Monastero di Colonna una interessante conferenza del prof. Salvatore Silvano Nigro su Torquato Accetto, poeta marinista del Seicento e del quale lo stesso Nigro, pubblicando nel 1987 con l’editore Giulio Einaudi le “Rime amorose”, aveva accertato le origini tranesi.
    
 In verità, agli “addetti ai lavori” Torquato Accetto era già noto e - per avere Benedetto Croce ripubblicato nel 1928 il trattatello omonimo, edizione alla quale erano seguite, nel 1943, quella di Goffredo Bellonci, nel 1976 di Carlo Muscetta e, infine, nel 1983, l’edizione critica dello stesso Salvatore  Nigro - lo si conosceva soprattutto come teorico della “dissi-mulazione onesta”, una sorta di riflessione politico-morale .sulla prudenza.

E naturalmente si sapeva delle “origini napoletane”  a lui attribuite dal grande filosofo critico e storico.

Ma furono le “Rime amorose” pubblicate da Nigro nel 1987 a rimescolare un po’ le carte e a coinvolgere,  in modo più diretto, Trani.

Il professore siciliano,  infatti, dopo aver consultato archivi, (soprattutto quello diocesano di Trani), e dopo avere spulciato nuovi documenti, vi aveva scritto che Torquato Accetto è nato a Trani intorno al 1590 e che per un certo periodo di tempo ha vissuto anche ad Andria al servizio dei duchi Carafa.

La manifestazione del 4 giugno 1988 al Monastero di Colonna, ispirata anche da una certa dose di orgoglio campanilistico, ebbe dunque lo scopo non solo di promuovere la raccolta di liriche di Accetto ma anche di rivendicarne storicamente la cittadinanza.

 E di qui a parlare più diffusamente di questo poeta e scrittore, e  a cucinarlo in tutte le salse e minestre, a Trani il passo fu  molto  breve.

Ci fu persino chi, con molta disinvoltura, lo collegò alla Via Accetta che si trova nei pressi di Via  Cambio e che probabilmente ricorda soltanto il nome di qualche famiglia abitante nel passato nella zona.

Ora, non mi pare che sia questa la sede per dirimere la questione, e a me d’altra parte spetta soltanto il compito di introdurre i temi sui quali più diffusamente si soffermerà il prof. Franz Brunetti.

 Ma chi era, comunque, Torquato Accetto? Ci chiediamo anche noi facendo il verso a Benedetto Croce che, ripubblicando – come ho già detto -  nel 1928 “La dissimulazione onesta” si pose appunto questo interrogativo. E fu davvero egli sostenitore del-l’ipocrisia, come in non pochi hanno affermato?

Nato. pertanto, secondo il Nigro,  a Trani il 1590 da Baldassare ed Elena  Sangiorgi,  in questa città egli venne formandosi in un ambiente culturalmente molto vivace.

A quell’epoca, infatti,   il Regno di Napoli (del quale faceva parte Trani) era sotto il dominio della Spagna, e pochi anni prima della nascita dell’Accetto, nel 1586, Trani era stata  eletta a capitale della Provincia di Bari con l’istituzione della Sacra Regia Udienza.

Fu questo un avvenimento  di grande importanza per
la città di Trani che visse allora uno dei periodi di maggiore splendore della sua storia, anche perché  diede  luogo ad uno elevato sviluppo culturale che tra l’altro portò, nei primi anni del Seicento,  non solo alla fondazione della famosa Accademia letteraria dei Pellegrini e  di una Universitas di studi giuridici, ma anche all’introduzione dell’arte della stampa, nella quale eccelse soprattutto il tipografo romano Lorenzo Valerii, per la cui attività – ricorda Raffaello Piracci nella sua “Storia di Trani”  pubblicata da qualche giorno, postuma, da  Landriscina – la nostra città può essere annoverata tra le prime città meridionali in cui venne introdotta la “redentrice” arte della stampa, cronologicamente preceduta solo da Bari.

Fu in questo ambiente, pertanto, che si sviluppò la personalità di Torquato Accetto, il quale  giova-nissimo entrò al servizio, in qualità di segretario, del duca Carafa di Andria, e ad Andria, salvo puntate a  Roma  e a  Napoli, egli visse.

A Napoli, restando sempre al seguito del Carafa, Torquato Accetto entrò nella cerchia dei letterati che si riunivano intorno al poeta e mecenate napoletano Giovanni Battista Manso e all’Accademia degli Oziosi, da questi fondata.

Come poeta Torquato Accetto esordì dunque nel 1621 con la raccolta di rime amorose di cui si è detto e alla quale seguì una seconda raccolta nel 1626, successivamente ripubblicata nel 1638.

Nel 1641, infine, ossia un anno dopo la sua morte,  venne pubblicata la sua opera più importante: il trattatello politico-morale “Della dissimulazione onesta”, che – si è già detto -  dopo un lungo periodo di silenzio, venne riscoperto da Benedetto Croce in un saggio del 1928 e successivamente, accolta nella silloge “Politica e moralisti del Seicento”, pubblicata da Laterza nella collana  “Scrittori d’Italia”. 

 Detto questo si può qui aggiungere che si tratta  di un poeta di maniera (vi si avvertono echi da Petrarca,Tasso, Bembo e Marino) ma comunque molto complesso. Il segreto romanzo d’amore che si svolge nelle sue rime (l’amore per la vedova di un caro amico del poeta) si riallaccia, infatti, alla teorica della “dissimulazione”ma in termini rovesciati. Come a dire che egli riesce a fare “dissimulazione della dissimulazione”.

Quanto a “La dissimulazione onesta”, invece, al di là del Croce e dei successivi curatori del trattatello, mi piace riportare per sommi capi in questa sede l’in-terpretazione (carica di umori ironici e di spregiudi-cate notazioni) che ne diede l’autore de   “La lettera-tura come menzogna” (1967), Giorgio Manganelli,  
nella Presentazione (tipicamente manganelliana) dell’edizione critica del  1983  curata da  Salvatore Nigro, e il ritratto a tutto tondo, e quindi anche psicologico, che di  Torquato Accetto fece un altro illustre nostro concittadino. Giovanni Macchia, .nel suo bellissimo libro   “Il paradiso della ragione
(Einaudi 1972).

Il primo (Manganelli), dopo avere preso atto che la prosa del trattato  “non è semplicemente la  bella, col-ta prosa di un grande esemplare secentista, ma la prosa temerariamente inventiva  e insieme  metico-losamente occultata di uno straordinario scrittore…un maestro dell’ombra”, coerente con il suo principio che non c’è letteratura  che non sia cinica, senza disobbedienza ad ogni principio solidale, senza indifferenza e rifiuto dell’anima., attraverso una raffinata analisi semantica e persino fonetica del testo dell’Accetto, ne coglie la grande abilità di dire tutto e insieme il contrario di tutto.

Diverso invece è l’approdo  interpretativo di Giovanni Macchia che, riferendosi all’Accetto nel suo “Paradiso della ragione”,  tra l’altro, ebbe a scrivere quanto segue.

“Il breve trattato “Della dissimulazione onesta” di Torquato Accetto - scrisse dunque Macchia - non rientra nella letteratura precettistica convenzionale.   Né il lettore moderno creda di trovarvi la spregiudicata violenza usata  da altri nel trattare il tema pericoloso.  L’Accetto era un uomo malinconico, (…) egli  credeva nei cieli fissi del vero, e, guardandosi intorno e considerando gli uomini, sognava sogni edenici, i tempi in cui l’amico parlava all’amico, l’amante all’amante, non con altra mente che di amicizia e di amore, I due termini, accoppiati nel titolo (“dissimulazione onesta”), esprimono benissimo il suo docile compromesso. Amando la virtù, non ha la voce per gridarla agli uomini, quella voce che è dei  santi e degli eroi; accettando la dissimulazione, allo stesso modo con cui si accetta il peccato originale, egli fa di tutto per renderla umana, e disegna, senza rivolta, non la figura  del grande politico, ma quella dell’uomo medio, quale s’incontra nelle case degli amici (…). E l’Accetto si dispone nella zona temperata in cui nasce l‘analisi psicologica

(…).  Ecco, infatti - ricorda Macchia - quello che scrive il moralista tranese”. “Il dissimulare è un velo composto di tenebre oneste e di rispetti violenti, da che non si forma il falso, ma si dà qualche riposo al vero, per dimostrarlo a tempo; e come la natura ha voluto che nell’ordine dell’universo  sia il giorno e la notte, così conviene che nel giro delle opere umane sia la luce e l’ombra, dico il procedere manifesto e nascoso; il dissimulare è una professione della quale non si può fare professione se  non nella scuola del proprio pensiero; quest’arte può stare tra gli amanti; tutto il bello non è che una gentile dissimulazione e la bellezza mortale non è altro che un cadavere dissimulato dal favore dell’età; si richiede prudenza in estremo quando l’uomo ha da celarsi a sé medesimo…per pigliar una  certa ricreazione pas-seggiando quasi fuor di se stesso; è una moderata oblivione, che serve di riposo agli infelici; e, benché sia scarsa e pericolosa consolazione, pur non si può far di meno per respirare  in questo mondo.., e sarà come un sonno de’ pensieri stanchi, tenendo  un poco chiusi gli occhi della cognizione della propria fortuna, per meglio aprirli dopo così breve ristoro.”

Insomma - diciamo allora anche noi - non un sistema della malignità, in contrasto alla moralità, ma l’affermazione che la dissimulazione, quando s’identifica con la prudenza e non con la volgare menzogna, diventa nelle mani del saggio un’arma per difendersi dall’oppressione dei potenti e dalla scomposta insorgenza dei propri sentimenti.

E nel passare con piacere la parola all’amico Franz Brunetti,  a me pare di poter dire tranquillamente che, al di là della sterile disputa sull’ipocrisia e sugli ipocriti, è proprio questo, ossia ciò che afferma Giovanni Macchia,   che permette al segretario di Trani di scrivere uno dei capitoli più importanti della complicata e ambigua morale del Seicento. Grazie.


 * Intervento svolto nel Convegno su “Torquato Accetto,  un  moralista tranese del Seicento”, organizzato da “Obiettivo Trani e dalla Sezione trnese della società di Storia patria e tenuto  nella Biblioteca comunale “Giovanni Bovio” di Trani l’8  giugno 2012.

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