Già professore di italiano e latino nei licei, Domenico di Palo è nato a Trani, dove vive e svolge la sua attività letteraria.
A lungo impegnato come pubblicista, nel 1978 ha fondato, e quindi diretto per tredici anni, il periodico di critica e costume “Singolare/Plurale”.
Scrive poesie da cinquanta anni ed ha pubblicato varie raccolte che sono state bene accolte dalla critica.
Cimentatosi anche nella narrativa, ha pubblicato racconti e, nel 2006, il romanzo o meglio l'antiromanzo “Renato e i giacobini”.
In questi ultimi anni, per il suo crescente interesse per la storia della cultura pugliese del ‘900, ha inoltre pubblicato monografie sulla poesia in Terra di Bari, sulla cultura del ‘900 a Trani, sul pittore Ivo Scaringi, sul grande tipografo-editore Valdemaro Vecchi, e sui fratelli Pàstina e la libertà di stampa nel Regno del Sud.
Gentili signore e signori, vi confesso che quando mi è giunto l’invito della presidente della FIDAPA, signora Clara Caruso, a parlare, nell’ambito del tema “Informazione e comunicazione”, della mia esperienza di direttore di un periodico in provincia sono stato fortemente dibattuto fra sentimenti contrastanti. Da un lato, infatti, mi stimolava moltissimo l’occasione che mi veniva offerta: il cortese invito della FIDAPA mi pareva come un segno tangibile dell’attenzione e della sensibilità alla mia fatica editoriale, quasi un riconoscimento della sua peculiare valenza. Dall’altro, invece, pensavo che l’essere chiamato a raccontare questa esperienza in una fase che, per molti aspetti, si presenta quasi come amaramente conclusiva di essa, significava per me dare pubblicamente conto di un fallimento ed essere quindi costretto ad esternare anche ad un pubblico che non è tutto costituito da lettori del mio giornale, e perciò in gran parte estraneo alle sue vicende interne, quella sfiducia, quella stanchezza e quel senso di frustrazione che ad un fallimento inevitabilmente si accompagnano. Tra queste contrapposte valutazioni tuttavia è prevalsa alla fine in me la considerazione che non solo un bilancio in ogni caso va fatto, per quanto di istruttivo da esso si può ricavare, ma che l’esperienza in sé di SINGOLARE/PLURALE (perché è di questo periodico che stasera parlerò), al di là di ogni suo approdo, per l’entusiasmo e la passione che l’hanno lungamente animata, per la funzione a cui ha assolto ed anche per le stesse difficoltà economiche ed organizzative incontrate, assume, nella prospettiva del tempo, il valore di una testimonianza molto significativa di un certo modo di fare oggi informazione in provincia. Per questo allora, rotti alla fine tutti gli indugi e rimosse anche quelle perplessità che mi venivano dalla coscienza che mi piace più scrivere che parlare, ho deciso di accettare il vostro invito. Quando e perché nacque, dunque, SINGOLARE/PLURALE? Dico subito che le primissime motivazioni del giornale non furono né specificatamente professionali, né commerciali, o tanto meno rispondevano ad una sorta di vocazione generale al giornalismo. Certo, nel gruppo dei suoi primi animatori vi era pure qualcuno, come chi vi parla, che aveva una certa esperienza di carta stampata; ma la gran parte aderì all’iniziativa per ragioni, come dire, esistenziali e politiche. L’esperienza, naturalmente, ha insegnato che queste non sono sufficienti per un’impresa editoriale che voglia essere seria e duratura nel tempo: l’organizzazione, la redazione, la stampa e la diffusione di un giornale richiedono ben altro che entusiasmo e comunanza di idee. Ma farei un torto alla verità storica se non ricordassi che SINGOLARE/PLURALE fu all’origine motivato soprattutto da quelle ragioni. Sono andato per l’occasione a rileggermi l’editoriale da me scritto e pubblicato nel numero di saggio del giornale, uscito esattamente in sei pagine formato tabloid il 6 gennaio del 1979. Ebbene in questo articolo vi è scritto che da un lato il periodico, nato appunto dal desiderio di un gruppo di giovani volenterosi di dare alla città (di Trani) e al comprensorio nord barese uno strumento per il suo rinnovamento politico e culturale, voleva essere “la voce di tutti coloro che, avvertendo il rischio di un arretramento generale nella pesantezza delle organizzazioni politiche tradizionali, sentivano l’esigenza di uno strumento di intervento che avesse una funzione corrosiva e dirompente, che sapesse costruire in positivo, cogliesse le contraddizioni interne ed esterne e, al limite, fosse uno strumento di denuncia dell’immobilismo, della corruzione, del clientelismo e dell’opportunismo a qualsiasi livello”; dall’altro abbattesse quel muro di indifferenza che si andava costruendo in certi settori giovanili per la crisi della militanza politica e il recupero del privato. Certo, chi non ha ben chiaro il clima politico e culturale di quel periodo forse può sorridere di fronte ad una dichiarazione di intenti così determinata e aggressiva. Eppure in quel gruppo non vi era nulla di estremistico e di massimalistico, che anzi si volevano programmaticamente evitare perché proprio l’estremismo e l massimalismo in quegli “anni di piombo” (il 9 maggio del 1978, dopo 55 giorni di prigionia, era stato assurdamente ucciso dalle Brigate rosse l’On. Aldo Moro) erano tragicamente degenerati. Si trattava invece di recuperare alla politica, alla riflessione concreta sulle cose, al dibattito democratico quelli che, delusi da certi esiti terribili o comunque frustrati per il fallimento della cosiddetta “nuova sinistra”, arenatasi nelle secche di astratte e contraddittorie diatribe ideologiche e dottrinarie, erano, come si diceva allora, “tornati a casa”. SINGOLARE/PLURALE significava appunto questo: nasceva soprattutto per superare questo dualismo, per vincere questa dicotomia. E di qui la sua testata; e di qui anche i primi temi in discussione: quello della crisi della militanza politica, ovviamente, e poi, non certamente subalterni, quelli della scuola, dell’occupazione, della situazione sanitaria, della condizione giovanile, della donna. Insomma tutto ciò che ci sembrava utile, e con uno obiettivo preciso: non quello di contendere “primati” di vendita o di presenza, bensì quello di far capire che esisteva, anche nella nostra città, anche nel nostro comprensorio, lo spazio per un giornalismo di “qualità”, di approfondimento, un giornalismo che non proponesse asetticamente notizie ma le interpretasse, e fornisse chiavi di lettura e quindi, in una parola, rimettesse in discussione l’esistente. Questo era tutto. Ci aspettava naturalmente la verifica e soprattutto il sostegno dei lettori, perché - non va dimenticato - SINGOLARE/PLURALE, non vincolato a nessuna organizzazione politica e gruppo economico, si proponeva allora, ed ha mantenuto fino ad oggi, l’autofinanziamento. E le verifiche furono positive e il sostegno dei lettori non mancò, almeno per i primi due anni, fin quando cioè, per oggettivi condizionamenti esterni (la chiusura delle redazioni che per i primi numeri eravamo riusciti ad avere a Barletta Corato ed Andria, il progressivo disinteresse all’impresa editoriale da parte di chi vedeva svanire l’entusiasmo iniziale per l’urgenza di un minimo di professionalità alla quale si restava estranei o che comunque non si avvertiva come congeniale) , ed altre ragioni individuali che qui non importa ricordare, il giornale è venuto via via assumendo la veste di un periodico cittadino bimestrale, impegnato a dare un’informazione corretta di alcuni fatti di costume e di politica tranese e a cercarne la radice e l’ancoraggio nei fatti nazionali. Nonostante il ridimensionamento di certi suoi progetti iniziali, il periodico tuttavia rimase fedele alla sua motivazione di fondo, che era quella di sollecitare la circolazione delle idee e dare un contributo a capire e a vivere meglio il nostro quotidiano. Di qui il persistente interesse dell’opinione pubblica, che al giornale cominciò a guardare come ad un punto di riferimento obbligato nella discussione dei problemi politici e culturali della città. Chi può negare, infatti, che gli interventi di SINGOLARE/PLURALE, i nostri resoconti dei consigli comunali, la nostra analisi dei problemi scottanti della città, le nostre battaglie sulla necessità della trasparenza nelle scelte politiche, sulla moralizzazione di importanti settori della vita pubblica, e quindi la denuncia di certo malcostume e di certo immobilismo amministrativo sono riusciti nel tempo a smuovere pigrizie e ad enucleare persino una corrente di opinione? E di qui – perché non ricordarlo? – anche il sabotaggio, l’ostilità, sotterranea o manifesta (sfociata a volte, per querele e minacce varie, persino nelle aule del Tribunale) di quei personaggi e di quelle organizzazioni a cui si ledevano gli interessi e di cui si smascheravano gli intrighi. Già, perché fare un giornale in provincia, permettetemi di ricordarlo, significa anche fare i conti con tutto questo, significa subire la prepotenza del malavitoso del quale si è smascherata l’amicizia con il politico, significa subire l’arroganza del politico che usa l’amico o il parente del giornalista per imporre un sistema di silenzio inaccettabile Significa insomma fare i conti con quella mentalità che si rifiuta di accettare il diritto-dovere del giornalista di informare correttamente il fruitore della notizia. Così, se il fatto riguarda un anonimo cittadino orbo di sponsorizzazioni protettive, il giornalista è oggetto di “complimenti”; se, al contrario, la nota il servizio, l’inchiesta coinvolgono i notabili della città ecco immancabile la raccomandazione perché si ignori la notizia o quanto meno si celino nome e cognome del soggetto certamente non al di sopra di ogni sospetto. E al rifiuto del giornalista la reazione è immediata e si manifesta inizialmente con la drastica interruzione del saluto, poi con le minacce e quindi anche con le querele per diffamazione a mezzo stampa che se, è vero, si concludono a volte con la remissione, intanto sono servite ad “ammorbidire” per il futuro l’estensore di quella nota, di quel servizio. Né va dimenticato, infine, quanto sia difficile in una città di provincia la ricerca delle notizie, l’accesso alle fonti. Si dirà che questo succede dovunque, anche nelle grandi città. E’ vero, ma in misura ridotta, con angolazioni diverse, e con risultati sicuramente meno penalizzanti, giacché nella maggior parte dei casi nelle grandi città ci si limita ad un diplomatico pour parler fra chi sollecita una determinata linea di informazione e chi respinge il compromesso finalizzato alla negazione del confronto delle idee. Facendo il giornale in provincia, dunque, anche a noi è toccato fare certe esperienze, ed anche a noi, nel contempo, è toccato vivere tanti altri episodi, per così dire ricchi di colore locale, e che davvero hanno reso la nostra attività una fonte inesauribile di varia umanità. Come, per esempio, dai tre giovani tossicodipendenti che una sera sono venuti a trovarmi per farsi intervistare perché gli piaceva “andare a finire sul giornale”, al vigile urbano che, ritenendosi uno dei migliori poeti viventi, mi inviava in continuazione i suoi versi illeggibili in dialetto tranese; dal pensionato che, ormai ossessionato dal ricordo del figlio morto per un incidente sul cantiere di lavoro, pretendeva, ad ogni uscita del giornale, che pubblicassi le sue lettere apocalittiche tutte grondanti sete di giustizia e di vendetta contro chi giudicava responsabile di quella morte dolorosa, al commerciante che vedendomi passare la mattina davanti al suo negozio mi chiedeva puntualmente: “Beh, professò, che hanno fatto al Comune ieri sera?”, ritenendomi fatalmente depositario, solo perché facevo un giornale, di tutte le piccole e grandi storie della città: dal giovane disadattato che mi offriva con sussiego la sua “preziosa” collaborazione letteraria e intanto si guardava ansiosamente intorno temendo l’arrivo di chissà chi, a quelli che mi chiedevano con insistenza di pubblicare sul giornale i pettegolezzi che circolavano sulla vita privata di certi personaggi, assicurandomi che in tal modo le copie vendute si sarebbero moltiplicate per mille. E poi le lettere anonime, a decine, e scritte come nei libri gialli, nel modo più insolito, per “denunciare gli affari” di questo o quell’altro amministratore. E quante cosiddette “quinte colonne”, presenti in tutti i partiti sulla piazza, sono venute spontaneamente a raccontarmi i retroscena dei vari direttivi sezionali e delle iniziative intraprese, ovviamente per danneggiare il compagno di partito o di giunta. E di contro, quante volte avvicinandomi a gruppi di conoscenti che discutevano animatamente di certi particolari fatti del giorno, si è fatto improvvisamente silenzio, si è cambiato argomento di conversazione, temendo forse che potessi ricavarne materia di pubblicazione. Ma tutto questo, naturalmente, insieme ad un interesse generale più positivo nei nostri confronti, quell’interesse che era anche il segno della nostra credibilità, una credibilità che davvero, permettetemi di dirlo, non abbiamo mai perduto, per il nostro comportamento sempre ispirato non da pregiudizi ideologici, non da chiusure settarie, ma dall’amore della verità e dalla precisa funzione che c’eravamo assunti di informare e non di uniformare. Senza, d’altro canto, sottovalutare che SINGOLARE/PLURALE restava pur sempre una sede per la discussione democratica, aperta a chiunque ne avesse voglia e gusto per farla. E così per ogni nuovo fascicolo del periodico, la cui pubblicazione, intanto, cominciava a comportare sempre più grossi problemi. Giacché, dissoltosi purtroppo come neve al sole il gruppo originario, eccomi ridotto a fare praticamente tutto da solo: l’editore, il direttore, il redattore, il compositore, l’impaginatore, e a provvedere da solo persino alla distribuzione e alla spedizione. E, per stare nelle spese, a utilizzare come redazione del giornale una stanza di casa mia e a continuare ad usare come caratteri di stampa quelli di una macchina da scrivere, a somiglianza degli Smirdat, le pubblicazioni clandestine che circolavano nell’Unione Sovietica stalinista, una caratteristica questa che sarà peculiare di SINGOLARE/PLURALE, quasi una civetteria. Certo, nuovi collaboratori esterni, accogliendo il mio invito e le mie pressanti richieste di un articolo o di intervento, si erano aggregati all’impresa, e alla loro generosità, al loro contributo disinteressato si deve gran parte della storia del periodico. Ma ero ormai da solo a vivere i tempi di ideazione e di confezione di ogni nuovo numero, sorretto, perché non dirlo, soltanto falla mia tenacia e dalla passione. Qualcuno - è vero – nel passato mi ha chiesto perché, nonostante tutto, io continuassi in questa fatica. Ho sempre risposto che ci credevo, ma che soprattutto mi piaceva farlo. Perché il giornale, nonostante tutto, mi arricchiva sul piano umano e culturale, e quindi, perché no, mi gratificava anche. Un po’ di narcisismo? Può darsi. Cosa c’è nella vita dell’uomo che non sia fatto per piacere a se stessi e agli altri? Ma non è questo il punto, né era questa la panacea per la risoluzione di altri problemi, quelli finanziari ad esempio, che si facevano sempre più drammatici. Giacché, intanto, mentre col tempo la funzione del periodico continuava ad essere riconosciuta ed esaltata, di contro mi capitava di accusare una persistente e di certo non gratificante difficoltà economica, anche perché molti dei lettori facevano sì proprio lo slogan che avevo coniato per SINGOLARE/PLURALE (“Questo giornale è anche tuo, se vuoi che sopravviva sostienilo!”), ma soltanto a metà, nel senso che sì, continuavano a leggerlo, ad usarlo come proprio, ma non più a comprarlo, non più a sostenerlo come nei primi tempi, e dimenticando in certi casi persino di versare le quote di abbonamento, quasi fosse un diritto da essi acquisito quello di continuare a ricevere gratis il giornale. Insomma il tanto decantato autofinanziamento, a lungo andare e di fronte ad una realtà cittadina che tornava a rinchiudersi nel guscio della sua tradizionale apatia, si rivelava un fallimento, e la precarietà nella quale il giornale era costretto a vivere diventava quasi una sua condizione naturale. Certo, sono in molti, ancora oggi, a rinvenire proprio in questa precarietà una garanzia della libertà e dell’autonomia di giudizio di SINGOLARE/PLURALE, quella libertà e quella autonomia di giudizio che a detta di costoro, bontà loro, hanno fatto appunto del periodico un foglio vivo e interessante, mentre qualche sovvenzione rassicurante ne avrebbe per così dire spuntato gli artigli e avrebbe trasformato anche SINGOLARE/PLURALE in uno dei tanti giornaletti am-maestrati che circolano senza lasciare traccia. Ma è davvero libertà la libertà senza quattrini? Ho cominciato allora a chiedermi. E quanto essa può durare? Nè è valso ricorrere, quelle rarissime volte in cui è stato possibile (per una sorta di idiosincrasia delle ditte tranesi interpellate all’uso della carta stampata per la loro pubblicità) alle inserzioni pubblicitarie: il problema economico rimaneva insoluto e persino aggravato da una ingiusta normativa fiscale che, costringendomi per tante ragioni ad applicare nell’amministrazione del giornale la cosiddetta contabilità semplificata, a pagare l’ICIAP e a subire persino gli aumenti delle tariffe per la spedizione in abbonamento postale, mi ha imposto nuove spese per me davvero insopportabili. Così, di fascicolo in fascicolo, sempre più diradati nel tempo, eccomi costretto a fare i conti con la pratica impossibilità di continuare a sopravvivere e di intervenire con l’opportuna tempestività sulla cronaca politica e di costume che fosse, e a ridurre, di conseguenza, il numero delle pagine di cronaca cittadina, fino all’ultimo numero, uscito a fine settembre, che di cronaca e di note redazionali di politica e di costume non ne porta affatto, ma che è tutto culturale e, quindi, meno vincolato alla contingenza. E’ vero che questa scelta è stata anche dettata dalla caduta di ogni pur minimo punto di riferimento politico esterno al giornale e dalla acquisita consapevolezza che la politica in senso stretto, per la stanchezza subentrata e per le delusioni subite, non mi interessa più come una volta. Ma è anche vero che essa è ispirata anche dalla volontà di non vedere completamente disperso il patrimonio di idee e di creatività che, pur tra mille difficoltà, il periodico era intanto riuscito a produrre. Voglio dire insomma - ho scritto nell’ultimo numero di settembre - che SINGOLARE/PLURALE oggi forse non ha esaurito la sua ragione d’essere, ché anzi questa si è venuta meglio chiarendo e potenziando giusto quando, al di là delle sue originarie motivazioni, si è messo al servizio dei fermenti creativi della città e della regione ed ha profuso impegno nel recupero della nostra memoria storica. Ed è proprio muovendosi in questa direzione, andando cioè al di là degli orizzonti municipali, che oggi SINGOLARE/PLURALE potrebbe continuare a svolgere un ruolo positivo. Si tratta di una scelta che forse non sarà condivisa da coloro che, molto generosamente, ritengono che il giornale possa ancora dare il suo contributo al funzionamento di una società civile; ma - ripeto – fare una rivista di cultura (e non occorre ricordare quanto la cultura, nel corso ordinario della storia, arricchisca la politica e giovi oggettivamente alla sua azione) significa semplicemente fare appello alle risorse migliori del giornale, quelle in fondo rimaste più fedeli, perché esso continui ad esistere. E d’altra parte chi può negare che è proprio nella sua capacità di rinnovarsi che SINGOLARE/PLURALE è riuscito a durare fino ad ora? E questo dico soprattutto a coloro che un tempo criticavano l’aggressività del giornale ed oggi, mutate le parti, fanno risalire la sua crisi al progressivo abbandono delle sue motivazioni originarie. Chi può negare che essere giunto all’età di dodici anni per un periodico come SINGOLARE/PLURALE è già un fatto straordinario? E in un’epoca come la nostra, in cui il processo di accentramento dei mass-media ha raggiunto punte difficilmente superabili grazie allo strapotere dei giochi finanziari che governano il mercato dell’informazione, e in cui la vita media di un buon periodico di interesse locale non supera i due o tre anni? E’ tutto, o meglio è quanto basta per raccontare di questa esperienza, forse non atipica nel suo genere, ma comunque significativa per lo spirito che l’ha animata, per i mezzi utilizzati e per le difficoltà incontrate. Oggi, insomma, in provincia un periodico come SINGOLARE/PLURALE (ma penso anche alle altre 162 piccole testate ufficialmente registrate in Puglia e Basilicata) per durare ha bisogno di accedere a fonti pubbliche di finanziamento, ma che siano realmente praticabili e non irretite nella logica intollerabile delle lottizzazioni politiche o in quella così restrittiva dell’attuale “Disciplina delle Imprese Editoriali” (mi riferisco al Testo aggiornato della Legge 5 agosto 1981), una disciplina che, sul piano dei richiesti nella titolarità delle imprese (vedi per esempio le cooperative che devono associare almeno il cinquanta per cento di collaboratori contrattualizzati) e su quello delle provvidenze (le cosiddette integrazioni sul prezzo della carta utilizzata per la stampa: nella misura di 450 lire a Kg di carta utilizzata) non è certo “disegnata” per “garantire” e favorire le piccole realtà editoriali, quelle cioè di tiratura limitatissima come “SINGOLARE/PLURALE” che stampa non più di 1000 copie equivalenti a non più di 75 Kg di carta stampata, e che ovviamente non possono permettersi di costituirsi in cooperativa. Solo a queste condizioni (ma non escludo, a questo punto, nemmeno quella - come si usa dire - di uno sponsor generoso e intelligente) sarebbe dunque possibile per le testate di provincia, che non facciano capo alle “concentrazioni” o alle forze politiche, mantenere e recuperare spazi di manovra, superare i mille problemi di gestione, e impostare di conseguenza anche una struttura organizzativa più articolata, quella struttura che distribuendo compiti e ruolo specifici faccia per esempio del direttore un direttore, del redattore un redattore, del compositore un compositore, dell’addetto alla distribuzione un addetto alla distribuzione, e così via. Quanto poi al prezzo da pagare sul piano della libertà, beh, questo è un altro discorso, che comunque va tutto verificato. Mi pare certo in ogni caso che i tempi romantici in cui si è svolta l’avventura di SINGOLARE/PLURALE siano finiti, né facilmente potrebbe ripetersi quell’esperienza che in alcuni settori competenti, con molta generosità, è stata definita eroica e comunque meritoria e che oggi, anche per l’impostazione data agli ultimi numeri, promette di collocarsi - non sono parole mie - “fra le più prestigiose voci della cultura pugliese, e non solo pugliese”. Che davvero poi sia tale, non tocca a me dirlo. Per quanto mi riguarda, permettetemi soltanto di ricordare, con legittimo orgoglio, - e mi avvio alla conclusione – che il giornale, pure attraverso le sue alterne vicende, non solo è stato per molti giovani, che in esso hanno trovato spazio ed occasione per mettere in evidenza le proprie capacità, un’autentica scuola di giornalismo, ma ha disvelato tale capacità di mobilitazione da coinvolgere direttamente ben trecento collaboratori esterni che con i loro scritti hanno dato corpo e lustro alla sua storia. E tra questi, persino alcuni nomi importanti del mondo della cultura, come, primo fra tutti, il compianto scrittore Nino Palumbo, del quale SINGOLARE/PLURALE ha pubblicato scritti molto significativi per la comprensione della sua personalità di uomo e di intellettuale; come il grande francesista Giovanni Macchia; la scrittrice Maria Marcone (oggi tra gli amici più affezionati del giornale); i critici letterari Silvana Folliero, Marco I. de Santis e Antonio Ragno; il poeta Daniele Giancane con tutto il gruppo dei poeti della “Vallisa”; il saggista prof. Giuseppe De Matteis; l’ecologista prof, Giorgio Nebbia; l’antropologo di fama internazionale Vittorio Pesce Delfino; i professori Franz Brunetti, dell’Università di Pavia, Daniele Cattani, dell’Università di Bologna, Grazia Distaso e Antonio Scacco, dell’Università di Bari; Giovanni De Gennaro, già preside del Liceo Classico di Molfetta; il prof. Ruggero Di Cuonzo; gli scrittori Bruno Cera, Mario Dentone, Camillo Langone, Toe Mercurio, Vincenzo Palmisano e Giorgio Saponaro; lo studioso di topografia antica Raffaele Ruta; i poeti Michele Urrasio, Vittorino Curci, Ada De Judicibus, Enrico Bagnato e Gianna Sallustio; e tanti altri ancora che qui non ricordo perché ci vorrebbe molto tempo per citarli tutti. Ad essi ed anche a tutti i tranesi che vi hanno collaborato (tra i quali, in particolare, il commediografo e narratore Guido Spizzico; il giudice Salvatore Paracampo; l’ex sindaco della città avv. Vincenzo Caruso; gli architetti Massimo Mongelli, presidente di “Italia Nostra”, ed Ignazio Monterisi; la prof.ssa Maria De Palo, l’ins. Marcella Liserre; lo studioso di storia e arte tranese Benedetto Ronchi, recentemente scomparso: i presidi Renato Guarriello e Nicola Scarpelli; il dott. Giuseppe Amorese, di “Trani Nostra”; il dott. Mauro Mazzilli; i cinefili Michele Canosa e Fabrizio Corallo; i musicologi Lorenzo Cimino e Luigi di Palo; il grafico Pasquale de Zio; il prof. e valentissimo pittore Ivo Scaringi, che spesso ha arricchito il periodico con i suoi straordinari disegni; il dott. Franco Caffarella, e non ultimi Lucia De Mari e Francesco Petrarota, che giunti più tardi a darmi una mano, sono diventati tra i miei collaboratori più assidui); ad essi, dicevo, va la mia profonda riconoscenza, così come a tutti voi va il mio grazie più sincero anche per avere avuto la pazienza di ascoltare fino alla fine questa storia forse un po’ auto-referenziale e piena di lamentazioni, ma comunque sempre ispirata, credetemi, da amore per la carta stampata e per la verità. Domenico di Palo
* Conferenza tenuta per la F.I.D.A.P.A. di Trani il 25 ottobre 1991, e poi pubblicata in SINGOLARE/PLURALE, n. 70, Trani 25 gennaio 1991.
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