Ho conosciuto Raffaello Piracci quand’ero ancora un bambino.
In quel tempo, infatti, Piracci, amico di alcuni zii materni, frequentava spesso casa mia, in Via Giustina Rocca, la strada in cui sono nato e dove ho abitato per più di venti anni.
Si tratta, d’altra parte, di un’amicizia ricordata da lui stesso nel libro appunto dedicato a quella strada, un libro che, non perché vi sono direttamente coinvolto, è tra le opere di Piracci che ancora oggi preferisco.
“Via Giustina Rocca a Trani”, infatti, che giustamente fu definito un “romanzo d’ambiente”, è un libro che si legge tutto d’un fiato ed è ricco di pagine davvero suggestive per la straordinaria capacità di rievocare, con tratti cordiali e misurati, tipi e scenette di un tempo ormai passato per sempre.
Penso insomma che con questo libro Piracci ci abbia dato (insieme ad “Accadde a Trani nel ‘43” che, nella struttura e nel contenuto, in gran parte anticipa quel “Trani in guerra” pubblicato quattro anni fa dal “Giornale di Trani”) una delle sue prove migliore di studioso impegnato a ricostruire certo colore locale e certa storia più intima della nostra città e che con la sua attività di storico e di pubblicista caratterizza di sé una stagione molto feconda della cultura del ‘900 a Trani, la stagione del “Tranesiere” (1959 – 1992), la sua creatura prediletta, e che, a ragione, egli definì “il periodico tranese più duraturo del secolo”.
E fu proprio col “Tranesiere” che, dopo aver fondato nel 1978 “SINGOLARE/PLURALE”, il mio periodico di critica e costume (e vengo adesso all’argomento sul quale mi è stato chiesto di intervenire), ebbi l’avventura, per tredici anni, fino al 1991, di misurarmi con grande impegno ma con grande lealtà.
Rispondevo, d’altra parte, nel modo che mi pareva più adeguato alle parole che Piracci, recensendo un numero del mio periodico, aveva scritto nel marzo del 1979 sul “Tranesiere”.
“Noi del ‘Tranesiere’ – aveva scritto tra l’altro – non possiamo ignorare questa pubblicazione, anche perché la nascita di un nuovo organo di stampa nella nostra città non può considerarsi priva di riflessi positivi, specie sotto il profilo culturale, e le rivolgiamo i nostri auguri. E’ vero – aggiungeva Piracci – non ci trova d’accordo la sua impostazione ideologica, ma di tanto in tanto ci offre l’occasione di verificare la nostra e soprattutto la nostra coerenza, in una dignitosa professione di umiltà che non deve farci credere migliori degli altri, ma tenerci in continua tensione di progresso.”
Era il suo caratteristico modo di affrontare le questioni, di piegarli cioè alla sua visione del mondo ma senza togliere ad esse autonomia di vita e di funzione.
Il Prof. Piracci, infatti, pur saldo nelle sue idee, aveva un profondo rispetto per chi professava idee diverse. Purché ci fossero, naturalmente, queste idee, e purché non ci si irretisse in tinte forti e nella faciloneria.
Per questo finì col detestare la volgarità e il chiasso di un giornale che, come meteora, in quegli anni circolò a Trani,
E per questo, soprattutto nei colloqui privati, era capace di sottile ironia nei confronti di chi s’improvvisava storico della città, ma, alieno, com’egli era dai pettegolezzi, senza andare mai sopra le righe.
Non venendo mai meno, insomma, alla particolare natura del suo moderatismo, per il quale se è vero che, con gli anni, sulle pagine del “Tranesiere”, egli sfuggì alla polemica (qualcuno gliene fece una colpa) e negli studi storici a volte sospese il giudizio critico, è anche vero che, libero da ogni preconcetto, era capace di apprezzare la serietà dell’impegno e l’onestà intellettuale, quella serietà e quell’onestà che, a prescindere dal fervore con cui sul mio giornale mi capitava a volte di affrontare la discussione, ad ogni numero di “SINGOLARE/PLURALE”, bontà sua, egli continuò a riconoscermi.
Ed io, naturalmente, gli fui molto grato, e da parte mia, ricambiandogli la stima, cominciai a considerare non più come un limite ma come un elemento distintivo il suo moderatismo, e sempre più spesso gli diedi atto di buon senso e di equilibrio nel giudizio e nel comportamento.
Un rapporto, dunque, per così dire non di buono ma di ottimo vicinato quello intercorso fra il “Tranesiere” e “SINGOLARE/PLURALE”, e per esso fu possibile realizzare quella che alcuni nostri comuni lettori del tempo, “al di là di ogni autonomia e distinzione ideologica e politica”, definirono una “sintesi culturale, sociale e civile”.
E’ quanto, ad esempio, scrisse da Milano l’Avv. Giuseppe Sarni in una lettera al mio giornale che pubblicai nel numero 34 del 1984.
Mi piace oggi ricordare questa lettera perché, più di ogni altra mia considerazione, è la testimonianza oggettiva di come in quegli anni le due diverse esperienze del “Tranesiere” e di “SINGOLARE/PLURALE” si siano sviluppate e abbiano potuto convivere lealmente.
Nella sua lettera, infatti, l’Avv. Sarni, tra l’altro, diceva: “… Apprezzo il contenuto del periodico da lei diretto, si tratta di un ulteriore e notevole contributo al pur cospicuo patrimonio culturale di Trani…” E aggiungeva: “Figure come quelle del Prof. Piracci e del Prof. di Palo hanno per me qualcosa di mistico e mitico allo stesso tempo, qualcosa che riporta ai tempi del Romanticismo nonché ai tempi degli intraprendenti cronisti della old America, del western e del new deal…”. E ancora: “Il vostro ruolo è di insostituibile efficacia nel far da sprone e pungolo alla città: Voi siete la libertà di stampa! Il giorno in cui le voci delle vostre riviste dovessero tacere così come quella del grillo parlante di Pinocchio, la città si sarebbe privata della voce della propria coscienza e sarebbe non dissimile da un burattino legnoso privo di anima…”. E concludeva: “SINGOLARE/PLURALE” e “Il Tranesiere”, ognuno a proprio modo, non sono tesi e antitesi, bensì componenti integranti di una sintesi culturale, sociale e politica per Trani, al di là di ogni autonomia e distinzione ideologica e politica…”.
Di fronte a lodi così sperticate, vi confesso che provai non poco imbarazzo, per cui rispondendo all’Avv. Sarni, lo ringraziai sì per le sue parole, ma gli dissi anche di considerarle un po’ eccessive.
Certo – aggiungevo – le condizioni difficili in cui svolgevamo il nostro lavoro (un po’ meno, in verità, lo erano per “Il Tranesiere”, che contava su una rete più consolidata di abbonati e quindi su migliori risorse finanziarie), la dimensione ancora artigianale nella quale si confezionavamo i due periodici, potevano richiamare alla mente dell’avvocato certi tempi mitici, ma, almeno per quanto mi riguardava, avrei preferito – gli dissi – essere calato in dimensioni meno eroiche. E soprattutto perché ero pienamente consapevole dei miei limiti.
Come dimenticare infatti che l’esperienza di ogni giorno (eravamo nel 1984 ed erano passati soltanto cinque anni dall’uscita del primo numero del mio giornale) più volte mi aveva costretto a ridimensionare i miei progetti originari.
Quanto poi alla “sintesi culturale, sociale e politica” in cui l’Avv. Sarni vedeva integrate le esperienze del “Tranesiere” e di “SINGOLARE/PLURALE”, da parte mia non c’era nulla da eccepire, naturalmente, dal momento che i due periodici continuavano a coesistere. Ma, rischiando forse una gaffe, aggiungevo che essa si legittimava non, come egli riteneva, “al di là di ogni autonomia e distinzione ideologica”, bensì proprio per questa autonomia e questa distinzione, che, dopotutto,, dei due periodici era la ragione di essere, e quindi di durare.
Al Prof. Piracci, attento lettore come sempre del mio giornale, non sfuggì la mia puntualizzazione, ma non tardò a capire che si trattava soltanto di una orgogliosa rivendicazione di identità e non – come maliziosamente aveva insinuato qualcuno – della pretesa di un mio primato nella pubblicistica tranese di quegli anni, un primato che, d’altra parte, non solo non aveva alcun fondamento, ma sarebbe stato sciocco e di cattivo gusto sostenere proprio nei confronti di chi, come il direttore del “Tranesiere”, parlando del mio giornale aveva fatto nel passato “dignitosa professione di umiltà”.
A quale identità, comunque, io mi richiamassi è presto detto.
Se “Il Tranesiere”, infatti, seguendo le chiare e ormai consolidate motivazioni originarie, continuava:
- a valorizzare da par suo il grande patrimonio storico di Trani;
- a contribuire alla dialettica sulla problematica cittadina;
- e a registrare puntualmente gli avvenimenti locali;
“SINGOLARE/PLURALE”, nato per recuperare alla riflessione concreta sulle cose, al dibattito democratico i delusi da certi esiti terribili della lotta politica (erano gli anni di piombo del terrorismo), e quindi teso a ricucire il privato al pubblico, il personale al politico, pur non perdendo di vista la realtà locale, già cominciava invece, nonostante la povertà dei mezzi a disposizione ma grazie anche alla collaborazione di non poche “firme” prestigiose, ad assumere quella fisionomia che lo avrebbe caratterizzato come punto di riferimento come un punto di riferimento nel dibattito politico e culturale della Terra di Bari prima e di tutta la Regione poi.
Vogliate scusarmi se in un incontro destinato a celebrare Raffaello Piracci io intervenga con un discorso che potrebbe sembrarvi soltanto auto-referenziale.
Ma serve anche questo per mettere nella giusta luce il rapporto intercorso tra i nostri due periodici.
Giacché accanto alla stima di cui il mio giornale generalmente godeva si manifestarono ben presto non solo serie preoccupazioni di carattere economico (l’autofinanziamento, che fin dal numero di saggio avevo praticato per amore di libertà, si rivelava assolutamente inadeguato per la sopravvivenza del periodico), ma anche una pesante ostilità da parte di certi ambienti politici cittadini che, per essere ancora immaturi alla libera circolazione delle idee e al dibattito democratico, cominciarono a sabotare con ogni mezzo “SINGOLARE/PLURALE”, smentendo decisamente quello spirito di tolleranza che aveva ispirato all’Avv. Giuseppe Sarni la lettera di cui vi ho già parlato, e finendo col rendermi più preziosi d’altra parte l’interesse e l’attenzione con i quali, scrivendone puntualmente sul “Tranesiere”, Raffaello Piracci continuava a guardare alla mia attività di pubblicista e di letterato.
Mi avviavo, così, a concludere la storia del mio periodico, una storia faticosa ma sempre esaltante, e destinata, nonostante tutto, a rimanere a lungo nella memoria storica della città e della regione, e al di là dell’amara sensazione che allora ebbi di aver perduto tanti anni a gridare nel deserto.
Una sensazione questa che, confidata qualche mese dopo a Piracci (anch’egli nel frattempo, ormai gravemente ammalato, aveva chiuso “Il Tranesiere”), in un ultimo moto di stima e di solidarietà, che lo portò simpaticamente a identificarsi con la mia esperienza, così fu da lui commentata in una lettera scrittami il 24 marzo del 1993:
“… Quanto alle tue considerazioni sul ‘gridare nel deserto’, esse trovano in me un’eco che rimbalzerebbe per tutto il testo della presente, dopo oltre trent’anni di macerazione in una pubblicistica che trovava favore solo in una sparuta minoranza di gente aliena dal pettegolume fin e a se stesso.”
Così allora egli giudicava molti dei lettori del suo periodico e, come per i venticinque lettori di manzoniana memoria, riduceva ad una “sparuta minoranza” quelli che lo avevano realmente capito e seguito fino alla fine.
Io non ho elementi per dire se le cose fossero davvero così, ma sono comunque sicuro che in quella “sparuta minoranza” di estimatori c’erano tutti gli amici qui presenti che, ricordandolo oggi a dieci anni dalla sua morte, contribuiscono decisamente a valorizzare la sua meritoria opera di storico e di pubblicista innamorato di Trani.
In quel tempo, infatti, Piracci, amico di alcuni zii materni, frequentava spesso casa mia, in Via Giustina Rocca, la strada in cui sono nato e dove ho abitato per più di venti anni.
Si tratta, d’altra parte, di un’amicizia ricordata da lui stesso nel libro appunto dedicato a quella strada, un libro che, non perché vi sono direttamente coinvolto, è tra le opere di Piracci che ancora oggi preferisco.
“Via Giustina Rocca a Trani”, infatti, che giustamente fu definito un “romanzo d’ambiente”, è un libro che si legge tutto d’un fiato ed è ricco di pagine davvero suggestive per la straordinaria capacità di rievocare, con tratti cordiali e misurati, tipi e scenette di un tempo ormai passato per sempre.
Penso insomma che con questo libro Piracci ci abbia dato (insieme ad “Accadde a Trani nel ‘43” che, nella struttura e nel contenuto, in gran parte anticipa quel “Trani in guerra” pubblicato quattro anni fa dal “Giornale di Trani”) una delle sue prove migliore di studioso impegnato a ricostruire certo colore locale e certa storia più intima della nostra città e che con la sua attività di storico e di pubblicista caratterizza di sé una stagione molto feconda della cultura del ‘900 a Trani, la stagione del “Tranesiere” (1959 – 1992), la sua creatura prediletta, e che, a ragione, egli definì “il periodico tranese più duraturo del secolo”.
E fu proprio col “Tranesiere” che, dopo aver fondato nel 1978 “SINGOLARE/PLURALE”, il mio periodico di critica e costume (e vengo adesso all’argomento sul quale mi è stato chiesto di intervenire), ebbi l’avventura, per tredici anni, fino al 1991, di misurarmi con grande impegno ma con grande lealtà.
Rispondevo, d’altra parte, nel modo che mi pareva più adeguato alle parole che Piracci, recensendo un numero del mio periodico, aveva scritto nel marzo del 1979 sul “Tranesiere”.
“Noi del ‘Tranesiere’ – aveva scritto tra l’altro – non possiamo ignorare questa pubblicazione, anche perché la nascita di un nuovo organo di stampa nella nostra città non può considerarsi priva di riflessi positivi, specie sotto il profilo culturale, e le rivolgiamo i nostri auguri. E’ vero – aggiungeva Piracci – non ci trova d’accordo la sua impostazione ideologica, ma di tanto in tanto ci offre l’occasione di verificare la nostra e soprattutto la nostra coerenza, in una dignitosa professione di umiltà che non deve farci credere migliori degli altri, ma tenerci in continua tensione di progresso.”
Era il suo caratteristico modo di affrontare le questioni, di piegarli cioè alla sua visione del mondo ma senza togliere ad esse autonomia di vita e di funzione.
Il Prof. Piracci, infatti, pur saldo nelle sue idee, aveva un profondo rispetto per chi professava idee diverse. Purché ci fossero, naturalmente, queste idee, e purché non ci si irretisse in tinte forti e nella faciloneria.
Per questo finì col detestare la volgarità e il chiasso di un giornale che, come meteora, in quegli anni circolò a Trani,
E per questo, soprattutto nei colloqui privati, era capace di sottile ironia nei confronti di chi s’improvvisava storico della città, ma, alieno, com’egli era dai pettegolezzi, senza andare mai sopra le righe.
Non venendo mai meno, insomma, alla particolare natura del suo moderatismo, per il quale se è vero che, con gli anni, sulle pagine del “Tranesiere”, egli sfuggì alla polemica (qualcuno gliene fece una colpa) e negli studi storici a volte sospese il giudizio critico, è anche vero che, libero da ogni preconcetto, era capace di apprezzare la serietà dell’impegno e l’onestà intellettuale, quella serietà e quell’onestà che, a prescindere dal fervore con cui sul mio giornale mi capitava a volte di affrontare la discussione, ad ogni numero di “SINGOLARE/PLURALE”, bontà sua, egli continuò a riconoscermi.
Ed io, naturalmente, gli fui molto grato, e da parte mia, ricambiandogli la stima, cominciai a considerare non più come un limite ma come un elemento distintivo il suo moderatismo, e sempre più spesso gli diedi atto di buon senso e di equilibrio nel giudizio e nel comportamento.
Un rapporto, dunque, per così dire non di buono ma di ottimo vicinato quello intercorso fra il “Tranesiere” e “SINGOLARE/PLURALE”, e per esso fu possibile realizzare quella che alcuni nostri comuni lettori del tempo, “al di là di ogni autonomia e distinzione ideologica e politica”, definirono una “sintesi culturale, sociale e civile”.
E’ quanto, ad esempio, scrisse da Milano l’Avv. Giuseppe Sarni in una lettera al mio giornale che pubblicai nel numero 34 del 1984.
Mi piace oggi ricordare questa lettera perché, più di ogni altra mia considerazione, è la testimonianza oggettiva di come in quegli anni le due diverse esperienze del “Tranesiere” e di “SINGOLARE/PLURALE” si siano sviluppate e abbiano potuto convivere lealmente.
Nella sua lettera, infatti, l’Avv. Sarni, tra l’altro, diceva: “… Apprezzo il contenuto del periodico da lei diretto, si tratta di un ulteriore e notevole contributo al pur cospicuo patrimonio culturale di Trani…” E aggiungeva: “Figure come quelle del Prof. Piracci e del Prof. di Palo hanno per me qualcosa di mistico e mitico allo stesso tempo, qualcosa che riporta ai tempi del Romanticismo nonché ai tempi degli intraprendenti cronisti della old America, del western e del new deal…”. E ancora: “Il vostro ruolo è di insostituibile efficacia nel far da sprone e pungolo alla città: Voi siete la libertà di stampa! Il giorno in cui le voci delle vostre riviste dovessero tacere così come quella del grillo parlante di Pinocchio, la città si sarebbe privata della voce della propria coscienza e sarebbe non dissimile da un burattino legnoso privo di anima…”. E concludeva: “SINGOLARE/PLURALE” e “Il Tranesiere”, ognuno a proprio modo, non sono tesi e antitesi, bensì componenti integranti di una sintesi culturale, sociale e politica per Trani, al di là di ogni autonomia e distinzione ideologica e politica…”.
Di fronte a lodi così sperticate, vi confesso che provai non poco imbarazzo, per cui rispondendo all’Avv. Sarni, lo ringraziai sì per le sue parole, ma gli dissi anche di considerarle un po’ eccessive.
Certo – aggiungevo – le condizioni difficili in cui svolgevamo il nostro lavoro (un po’ meno, in verità, lo erano per “Il Tranesiere”, che contava su una rete più consolidata di abbonati e quindi su migliori risorse finanziarie), la dimensione ancora artigianale nella quale si confezionavamo i due periodici, potevano richiamare alla mente dell’avvocato certi tempi mitici, ma, almeno per quanto mi riguardava, avrei preferito – gli dissi – essere calato in dimensioni meno eroiche. E soprattutto perché ero pienamente consapevole dei miei limiti.
Come dimenticare infatti che l’esperienza di ogni giorno (eravamo nel 1984 ed erano passati soltanto cinque anni dall’uscita del primo numero del mio giornale) più volte mi aveva costretto a ridimensionare i miei progetti originari.
Quanto poi alla “sintesi culturale, sociale e politica” in cui l’Avv. Sarni vedeva integrate le esperienze del “Tranesiere” e di “SINGOLARE/PLURALE”, da parte mia non c’era nulla da eccepire, naturalmente, dal momento che i due periodici continuavano a coesistere. Ma, rischiando forse una gaffe, aggiungevo che essa si legittimava non, come egli riteneva, “al di là di ogni autonomia e distinzione ideologica”, bensì proprio per questa autonomia e questa distinzione, che, dopotutto,, dei due periodici era la ragione di essere, e quindi di durare.
Al Prof. Piracci, attento lettore come sempre del mio giornale, non sfuggì la mia puntualizzazione, ma non tardò a capire che si trattava soltanto di una orgogliosa rivendicazione di identità e non – come maliziosamente aveva insinuato qualcuno – della pretesa di un mio primato nella pubblicistica tranese di quegli anni, un primato che, d’altra parte, non solo non aveva alcun fondamento, ma sarebbe stato sciocco e di cattivo gusto sostenere proprio nei confronti di chi, come il direttore del “Tranesiere”, parlando del mio giornale aveva fatto nel passato “dignitosa professione di umiltà”.
A quale identità, comunque, io mi richiamassi è presto detto.
Se “Il Tranesiere”, infatti, seguendo le chiare e ormai consolidate motivazioni originarie, continuava:
- a valorizzare da par suo il grande patrimonio storico di Trani;
- a contribuire alla dialettica sulla problematica cittadina;
- e a registrare puntualmente gli avvenimenti locali;
“SINGOLARE/PLURALE”, nato per recuperare alla riflessione concreta sulle cose, al dibattito democratico i delusi da certi esiti terribili della lotta politica (erano gli anni di piombo del terrorismo), e quindi teso a ricucire il privato al pubblico, il personale al politico, pur non perdendo di vista la realtà locale, già cominciava invece, nonostante la povertà dei mezzi a disposizione ma grazie anche alla collaborazione di non poche “firme” prestigiose, ad assumere quella fisionomia che lo avrebbe caratterizzato come punto di riferimento come un punto di riferimento nel dibattito politico e culturale della Terra di Bari prima e di tutta la Regione poi.
Vogliate scusarmi se in un incontro destinato a celebrare Raffaello Piracci io intervenga con un discorso che potrebbe sembrarvi soltanto auto-referenziale.
Ma serve anche questo per mettere nella giusta luce il rapporto intercorso tra i nostri due periodici.
Giacché accanto alla stima di cui il mio giornale generalmente godeva si manifestarono ben presto non solo serie preoccupazioni di carattere economico (l’autofinanziamento, che fin dal numero di saggio avevo praticato per amore di libertà, si rivelava assolutamente inadeguato per la sopravvivenza del periodico), ma anche una pesante ostilità da parte di certi ambienti politici cittadini che, per essere ancora immaturi alla libera circolazione delle idee e al dibattito democratico, cominciarono a sabotare con ogni mezzo “SINGOLARE/PLURALE”, smentendo decisamente quello spirito di tolleranza che aveva ispirato all’Avv. Giuseppe Sarni la lettera di cui vi ho già parlato, e finendo col rendermi più preziosi d’altra parte l’interesse e l’attenzione con i quali, scrivendone puntualmente sul “Tranesiere”, Raffaello Piracci continuava a guardare alla mia attività di pubblicista e di letterato.
Mi avviavo, così, a concludere la storia del mio periodico, una storia faticosa ma sempre esaltante, e destinata, nonostante tutto, a rimanere a lungo nella memoria storica della città e della regione, e al di là dell’amara sensazione che allora ebbi di aver perduto tanti anni a gridare nel deserto.
Una sensazione questa che, confidata qualche mese dopo a Piracci (anch’egli nel frattempo, ormai gravemente ammalato, aveva chiuso “Il Tranesiere”), in un ultimo moto di stima e di solidarietà, che lo portò simpaticamente a identificarsi con la mia esperienza, così fu da lui commentata in una lettera scrittami il 24 marzo del 1993:
“… Quanto alle tue considerazioni sul ‘gridare nel deserto’, esse trovano in me un’eco che rimbalzerebbe per tutto il testo della presente, dopo oltre trent’anni di macerazione in una pubblicistica che trovava favore solo in una sparuta minoranza di gente aliena dal pettegolume fin e a se stesso.”
Così allora egli giudicava molti dei lettori del suo periodico e, come per i venticinque lettori di manzoniana memoria, riduceva ad una “sparuta minoranza” quelli che lo avevano realmente capito e seguito fino alla fine.
Io non ho elementi per dire se le cose fossero davvero così, ma sono comunque sicuro che in quella “sparuta minoranza” di estimatori c’erano tutti gli amici qui presenti che, ricordandolo oggi a dieci anni dalla sua morte, contribuiscono decisamente a valorizzare la sua meritoria opera di storico e di pubblicista innamorato di Trani.
Domenico di Palo
* Intervento svolto nel Convegno su “Raffaello Piracci, Trani e il suo ‘Tranesiere’ - Ricordo di R. Piracci a dieci anni dalla morte”, tenuto a Palazzo Palmieri, Trani, il 27 marzo del 2004. Poi pubblicato su “Il Giornale di Trani” del 28 maggio del 2004.
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