Mi preme ringraziare il prof. Vincenzo De Mitri, preside della Scuola Media “Giustina Rocca”, per l’opportunità che mi offre di comunicarvi alcune mie riflessioni su un tema che mi sta particolarmente a cuore non solo come insegnante e perciò come educatore, ma anche per la mia attività di operatore culturale, impegnato, sia pure nella consapevolezza dei limiti personali ed oggettivi, a capire e a testimoniare, con la parola scritta, sulla realtà del nostro tempo.
E mi preme quindi dare pubblicamente atto al prof. De Mitri, all’equipe dei suoi collaboratori dell’importanza e del grande significato di un’iniziativa come questa che, in verità, non capita spesso di registrare nella nostra città.
Per questo, allora, non ho potuto rifiutare il suo cortese invito a per questo, alla sua richiesta di intitolare in qualche modo il mio intervento, non ho trovato niente di meglio che enfatizzare, ripetendolo per tre volte, la parola “leggere”, come a sottolineare la permanente valenza culturale e sociale della lettura, di cui appunto ci stiamo interessando in questo nostro incontro.
E dico permanente, perché nonostante tutto, nonostante la televisione, nonostante la tendenza a spettacolarizzare, a volte cinicamente, ogni forma di vita e la stessa morte, nonostante il frenetico consumismo del nostro tempo, la tensione spasmodica a badare a ben altre cose che alla lettura, il libro è ancora vivo e vegeto, e non saranno certamente i nuovi mezzi di comunicazione ad ucciderlo, perché - ha detto giustamente Umberto Eco - il libro è l’unica macchina per produrre interpretazione, cioè pensiero, e sarà la stessa storia dell’uomo a garantirne la sopravvivenza.
Ribadito, allora, il primato del libro, o meglio della parola scritta, sui linguaggi convenzionali della comunicazione umana, che senso hanno certi discorsi apocalittici sulla cosiddetta “civiltà delle immagini”? Le dispute accademiche sulle sue nefaste conseguenze? La constatazione tra i giovani di una forza crescente di pigrizia verbale, per la quale essi parlerebbero poco, con pochi vocaboli per lo più generalizzati ed approssimativi? La correlazione operata da alcuni tra questa presunta afasia giovanile con il rischio di un’atrofia delle capacità critiche perché, si sa, intercorre uno stretto legame tra lo sviluppo del linguaggio e lo sviluppo del pensiero critico?
Ebbene, a me sembra che tutto sia ormai un luogo comune, e come tale va circoscritto, e in primo luogo perché si dimentica di confrontare il presente con il passato.
Quanti cioè leggevano trenta o quaranta anni fa?
E quanto si leggeva?
L’esercizio della lettura non era forse, per le cause e le concause che tutti conosciamo, un fenomeno ancora di élite?
In rapporto a quale felice età del libro, allora, si giustificherebbe l’allarmismo dilagante?
Ma è poi proprio vero che oggi si legge poco?
Per quanto mi riguarda, mi pare di poter cogliere alcuni segnali che contraddicono clamorosamente quell’abusato luogo comune di sui si è parlato.
Come non ricordare, infatti, lo straordinario successo della “Giornata del libro” organizzata da alcune case editrici nazionali il 7 marzo scorso.
E che significato bisogna attribuire al grandissimo consumo, da parte dei giovani soprattutto, di quelle collane “a mille lire” lanciate sul mercato da alcuni editori coraggiosi come Marcello Baraghini di Stampa Alternativa e la Newton Compton?
Un esempio, questo, seguito ben presto da altri più famosi editori che, nella eco di certe tirature altissime, ecco lanciare o rilanciare sul mercato collane economiche. E mi riferisco, esemplarmente, non solo alla Rizzoli e alla Mondadori, (già avvezze a cimentarsi nel passato in questo campo, con la BUR la prima e gli Oscar la seconda), o all’Universale Economica Feltrinelli, ma anche all’Adelphi, all’Einaudi, alla Garzanti e persino all’austera Laterza.
E’ un questione di prezzo di copertina, dunque?
Certo, ma non solo.
Si avverte chiaramente, infatti, in questo boom del libro e della letteratura in particolare, il bisogno di recuperare quella ricchezza di vita interiore che forse, come ha detto giustamente Eco, nessun altro mezzo di comunicazione può dare; il bisogno di raccogliersi in solitudine, per meglio capire se stessi e il mondo, e il bisogno quasi di farla finita con quella tendenza diffusa alla spettacolarizzazione di cui si è già parlato.
Ed è questo, a mio avviso, anche il significato della grande affluenza di pubblico, della grande partecipazione giovanile a quella “Serata Poesia” da me curata e organizzata, per il Comune di Trani, il 12 settembre scorso qui al Monastero di Colonna.
Così, non più feticcio, come spesso è stato nel passato, ma oggetto di consumo, il libro si fa sangue del sangue, carne della carne, pensiero del pensiero.
Ed ecco perché le polemiche sul libro economico scatenate, con il suo solito atteggiamento snobistico, dal critico letterario de ”L’Espresso” Roberto Cotroneo non hanno rilevanza alcuna.
Certo i bibliofili restano perplessi di fronte alla confezione a volte discutibile di certi prodotti editoriali. Ma questo è un altro discorso, legittimo fin che si vuole, ma in nessun altro modo, del resto, sarebbe stato possibile avvicinare i giovani ad Epicuro e, citando a caso gli autori più venduti di queste collane a mille lire, a Freud, a Nietzche, Herman Hesse, Frank Kafka, Garcia Lorca, Edgar Allan Poe, Oscar Wilde; e persino - ricordando l’operazione editoriale di Laterza – ad uno studioso del Medioevo come Le Goff.
Altro che crisi del libro, dunque, ed altro che calo dei lettori!
Perché, allora, non considerare quanto oggi si sta verificando anche come un benefico effetto, per azione o reazione che sia, della scolarizzazione di massa e della stessa televisione, che non va pertanto demonizzata, non va pertanto combattuta né giudicata soltanto come formatrice - così è stato detto - di una generazione di imbecilli.
Certo, i rischi, le deviazioni, i pericoli derivanti dal suo cattivo uso sono ancora sotto gli occhi di tutti.
Ma perché, invece di sparare a zero su di essa, non porsi seriamente il problema anche dell’educazione all’intelligente uso del telecomando?
Questa sì che sarebbe un’operazione culturale degna del più grande rispetto.
E quando parlo di cultura mi riferisco alla sua intrinseca vitalità, a quella cultura cioè che non si limita a rinnovare il suo ossequio al passato senza provarlo alla luce della condizione presente, sena fare i conti con la realtà contemporanea
Mi si perdoni questa digressione, ma è da queste considerazioni che, io penso, bisogna muoversi per guardare al presente con occhi diversi, attenti certo a coglierne le contraddizioni, ma anche ad esaltarne le conquiste.
Insomma, se una riflessione critica va fatta sul problema da noi preso in esame, questa si pone ad un livello più alto, in direzione del raggiungimento di una qualità superiore.
Legittime, voglio dire, sono tutte le preoccupazioni sul futuro del libro. Ma intanto, sfatiamo i luoghi comuni, riconosciamo i progressi compiuti. E non limitiamoci, naturalmente, ad invitare a leggere, a leggere molto, a leggere sempre, che sarà certamente ottima cosa, ma è pur certo che, quando si è detto e ripetuto “leggere”, si è detta e ripetuta poco più di una parola, se subito dopo non si dica quali autori si debbano leggere e come leggerli.
Questo è il punto, ed è per questo che non ci rimane che ripensare in termini più positivi ai tre referenti del problema del leggere nella scuola, all’insegnate, allo studente e allo scrittore, e allo stretto rapporto che deve intercorrere tra essi.
Di qui allora bisogna partire per tentare di fare un discorso più credibile sul libro per le scuole, o meglio sul libro di narrativa per le scuole, così come viene proposto o stabilito dai programmi ministeriali, e non solo per le scuole medie ma oggi anche per il biennio delle scuole secondarie superiori, in attuazione del progetto di riforma della Commissione Brocca.
Non mi soffermerò ad analizzare in particolare i risultati conseguiti nelle scuole medie, dei quali d’altra parte non ho esperienza diretta, né su quelli al biennio dello Scientifico di Trani (dove da quest’anno è stata introdotta la riforma Brocca), dei quali se so qualcosa, è solo per sentito dire dai colleghi (io insegno al triennio).
Mi sembra invece importante sottolineare il ruolo di primo piano che fra i tre svolge ancora l’insegnante, perché è a lui che, tecnicamente, tocca indicare e valutare il romanzo da far leggere agli studenti, e perché è sua la responsabilità della crescita culturale morale e civile dei suoi allievi.
Certo, si sa che se il professore si limiterà ad ordinare ad ordinare di leggere tante pagine o tanti capitoli, lo studente non sarà invogliato a leggere e, se lo farà, sarà perché quasi costretto a farlo. Se invece l’insegnante introdurrà lo studente ai tempi del libro con opportuni riferimenti socio-culturali e, dopo la discussione dei contenuti espressi, guiderà il giovane a saper valutare l’organizzazione formale del testo, come parte integrante del messaggio e non come veste esterna, mi pare che lo studente avrà una graduale ma piena intelligenza del mondo e dello stile dello scrittore che gli è stato proposto.
Naturalmente, devo aggiungere (e i colleghi mi scusino per l’ovvietà di queste considerazioni) che se l’insegnante desidera svolgere fino in fondo il grande compito che gli compete, se egli cioè desidera formare la mente e la coscienza dei giovani, deve avere una sua formazione, una sua preparazione che non è mai compiuta una volta per tutte, ma deve continuamente aggiornarsi, e l’aggiornamento significa leggere ed accrescere di giorno in giorno le sue letture che, naturalmente, non saranno solo dei romanzi, e che alla fine diventeranno patrimonio-sostanza da mettere a disposizione degli alunni.
Io non so se oggi si possa parlare ancora di “missione” degli insegnanti, (e come si potrebbe del resto se l’attività del docente - per la scarsa attenzione che i politici continuano a dedicare alla scuola – resta così vergognosamente sottovalutata, costringendoli a campare soltanto, tra virgolette, di “valori morali”).
Eppure io so che non sono pochi oggi gli insegnanti che si rifiutano - per dirla con una metafora abusata - di fare “la parte dello specchio, destinato a riflettere luce senza assorbire calore”, e che si mostrano disponibili a prendere contatto con i problemi sempre nuovi di un sapere in movimento.
Mi rendo conto che il mio discorso diventa un po’ moralistico, ma io credo che non si possa svolgere in modo diverso il proprio mestiere di insegnanti se non mettendo a disposizione dei giovani tutto il sapere che si possiede e ciò che essi sentono, il bisogno di conoscere.
E sono convinto che i giovani si rendono subito conto della vera partecipazione del proprio insegnante da ciò che egli offre, ed è un dono quotidiano che i ragazzi sanno apprezzare quanto più è dato con convinzione e con entusiasmo. E l’insegnante ne ha in contraccambio l’attenzione (che è già gratitudine) e lo studio di ciò che propone.
Se è necessario, dunque, indispensabile, tener conto della preparazione, dell’impegno, dell’amore; se è importante il ruolo che egli svolge nel far crescere i propri allievi dandogli un po’ ogni giorno ciò di cui egli per primo si è nutrito, non è meno importante necessario e indispensabile tener conto degli studenti che nel mondo della scuola vivono durante gli anni della propria formazione spirituale civile e politica.
A proposito ancora dei giovani, mi sembra opportuno chiamare in causa la produzione editoriale, e in verità non sono pochi gli editori che dedicano alcune collane ai libri per i ragazzi.
Anzi in questi ultimi tempi l’attenzione rivolta alla narrativa degli autori italiani contemporanei ha contribuito a far conoscere agli studenti opere che fino ad alcuni anni fa i giovani conoscevano piuttosto tardi e forse non conoscevano mai più.
E mi riferisco, ad esempio, alle edizioni della Bompiani delle Scuole che, al di là degli ormai canonici “Il fu Mattia Pascal” di Pirandello, e de “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo, ha proposto autori come Romano Bilenchi, Gesualdo Bufalino, Maria Corti, Umberto Eco, Ennio Flaiano, Alberto Moravia; ai testi dell’Einaudi Scuola, con opere di Primo e Carlo Levi, Elsa Morante, Italo Calvino, Sebastiano Vassalli, Goffredo Parise, Cesare Pavese, Natalia Ginzburg, Beppe Fenoglio, Leonardo Sciascia, Lalla Romano e così via; ai volumi pubblicati dall’Editrice Theorema Libri, impegnata a riproporre autori operanti a cavallo dell’800 e del primo Novecento; e ancora tanti altri che non cito non solo per non tediarvi ulteriormente, ma perché davvero sarebbe troppo lungo elencare tutti.
A questo aspetto positivo della produzione editoriale è però da contrapporre uno negativo, e riguarda la scarsa attenzione dei grandi editori alla produzione degli scrittori pugliesi, come se davvero – ebbi già occasione di dire in altra sede – la letteratura in Italia finisca al di qua del Rubicone.
Ma questo è un fenomeno che non si registra solo per l’editoria scolastica.
Né fa testo, infatti, il caso, davvero eccezionale, de “I fuochi del Basento” di Raffaele Nigro, quest’anno introdotto come testo di narrativa anche nel biennio della mia scuola, del “Nicolino” di Maria Marcone e, nel passato, di “Pane verde” del sempre compianto Nino Palumbo.
Sarebbe a questo punto necessario fare una riflessione circostanziata anche sullo scrittore e sulla necessità dei rapporti più diretti tra questi e l’insegnante e lo studente, ma non voglio abusare ulteriormente della vostra attenzione e della vostra pazienza.
Mi limiterò pertanto a pormi in proposito una sola domanda, ed è la seguente: E’ giusto parlare di “romanzi per ragazzi”? E’ accettabile una definizione di “genere”? Ossia, se si prescinde dal particolare modo con cui viene confezionato un libro destinato alla scuola (il corredo di note, le schede, ecc.), ci sono davvero i libri scritti per ragazzi ed altri scritti per gli adulti?
Io credo di no (a meno che, s’intende, non si tratti di bambini delle scuole elementari).
Io credo che un libro per così dire riuscito, che abbia quindi in sé i requisiti per essere letto, vada bene e per gli adulti e per i giovani.
Per questo si verifica che, come succede al lettore adulto, anche i giovani, di fronte alle opere di un autore, possono avere reazioni diverse e contrastanti. Cioè c’è chi accetta un’opera e la trova riuscita e chi invece la respinge. Tutto dipenderà dalla sua sensibilità, e dall’educazione ricevuta in famiglia e, grazie all’opera paziente e costante dell’insegnante, a scuola.
Se dunque i tre protagonisti della vita della scuola (per ciò che attiene al libro di lettura), interagiscono tra di loro, ognuno di essi - e mi avvio alla conclusione - sarà in grado di donare energie, di muoversi in sintonia con gli altri e dare il suo contributo ad una circolazione continua e proficua d’intelligenza, di preparazione e di desiderio di dare e di avere.
“Noi, tutti noi - mi ricordava frequentemente il caro amico Nino Palumbo – da quando cominciamo a capire, siamo ciò che ogni giorno diventiamo; ogni giorno ci arricchiamo di qualche cosa, e l’esperienza ci fa uomini, e cioè siamo sempre più ricchi nella mente e nel cuore.”
Ed è per questo che, rivolgendomi ai giovani che hanno avuto la pazienza di ascoltare me e tutti gli oratori che mi hanno preceduto, mi permetto di parafrasare le ultime parole pronunciate nel nostro Teatro Comunale da Francesco De Sanctis, nel suo famoso “Discorso di Trani”, il 29 gennaio del 1883: “E’ l’educazione che ingrandisce i nostri cuori con l’ingrandire dei nostri intelletti, e trasforma le società e le fa simili a noi… Perciò, leggete, studiate, educatevi, siate intelligenti e buoni. L’Italia sarà quello che siete voi.”
Domenico di Palo
* Conferenza tenuta il 28 aprile 1993 nel Convegno, organizzato dalla Scuola Media di Trani “Giustina Rocca”, sul tema “Un romanzo in cartella”.
E mi preme quindi dare pubblicamente atto al prof. De Mitri, all’equipe dei suoi collaboratori dell’importanza e del grande significato di un’iniziativa come questa che, in verità, non capita spesso di registrare nella nostra città.
Per questo, allora, non ho potuto rifiutare il suo cortese invito a per questo, alla sua richiesta di intitolare in qualche modo il mio intervento, non ho trovato niente di meglio che enfatizzare, ripetendolo per tre volte, la parola “leggere”, come a sottolineare la permanente valenza culturale e sociale della lettura, di cui appunto ci stiamo interessando in questo nostro incontro.
E dico permanente, perché nonostante tutto, nonostante la televisione, nonostante la tendenza a spettacolarizzare, a volte cinicamente, ogni forma di vita e la stessa morte, nonostante il frenetico consumismo del nostro tempo, la tensione spasmodica a badare a ben altre cose che alla lettura, il libro è ancora vivo e vegeto, e non saranno certamente i nuovi mezzi di comunicazione ad ucciderlo, perché - ha detto giustamente Umberto Eco - il libro è l’unica macchina per produrre interpretazione, cioè pensiero, e sarà la stessa storia dell’uomo a garantirne la sopravvivenza.
Ribadito, allora, il primato del libro, o meglio della parola scritta, sui linguaggi convenzionali della comunicazione umana, che senso hanno certi discorsi apocalittici sulla cosiddetta “civiltà delle immagini”? Le dispute accademiche sulle sue nefaste conseguenze? La constatazione tra i giovani di una forza crescente di pigrizia verbale, per la quale essi parlerebbero poco, con pochi vocaboli per lo più generalizzati ed approssimativi? La correlazione operata da alcuni tra questa presunta afasia giovanile con il rischio di un’atrofia delle capacità critiche perché, si sa, intercorre uno stretto legame tra lo sviluppo del linguaggio e lo sviluppo del pensiero critico?
Ebbene, a me sembra che tutto sia ormai un luogo comune, e come tale va circoscritto, e in primo luogo perché si dimentica di confrontare il presente con il passato.
Quanti cioè leggevano trenta o quaranta anni fa?
E quanto si leggeva?
L’esercizio della lettura non era forse, per le cause e le concause che tutti conosciamo, un fenomeno ancora di élite?
In rapporto a quale felice età del libro, allora, si giustificherebbe l’allarmismo dilagante?
Ma è poi proprio vero che oggi si legge poco?
Per quanto mi riguarda, mi pare di poter cogliere alcuni segnali che contraddicono clamorosamente quell’abusato luogo comune di sui si è parlato.
Come non ricordare, infatti, lo straordinario successo della “Giornata del libro” organizzata da alcune case editrici nazionali il 7 marzo scorso.
E che significato bisogna attribuire al grandissimo consumo, da parte dei giovani soprattutto, di quelle collane “a mille lire” lanciate sul mercato da alcuni editori coraggiosi come Marcello Baraghini di Stampa Alternativa e la Newton Compton?
Un esempio, questo, seguito ben presto da altri più famosi editori che, nella eco di certe tirature altissime, ecco lanciare o rilanciare sul mercato collane economiche. E mi riferisco, esemplarmente, non solo alla Rizzoli e alla Mondadori, (già avvezze a cimentarsi nel passato in questo campo, con la BUR la prima e gli Oscar la seconda), o all’Universale Economica Feltrinelli, ma anche all’Adelphi, all’Einaudi, alla Garzanti e persino all’austera Laterza.
E’ un questione di prezzo di copertina, dunque?
Certo, ma non solo.
Si avverte chiaramente, infatti, in questo boom del libro e della letteratura in particolare, il bisogno di recuperare quella ricchezza di vita interiore che forse, come ha detto giustamente Eco, nessun altro mezzo di comunicazione può dare; il bisogno di raccogliersi in solitudine, per meglio capire se stessi e il mondo, e il bisogno quasi di farla finita con quella tendenza diffusa alla spettacolarizzazione di cui si è già parlato.
Ed è questo, a mio avviso, anche il significato della grande affluenza di pubblico, della grande partecipazione giovanile a quella “Serata Poesia” da me curata e organizzata, per il Comune di Trani, il 12 settembre scorso qui al Monastero di Colonna.
Così, non più feticcio, come spesso è stato nel passato, ma oggetto di consumo, il libro si fa sangue del sangue, carne della carne, pensiero del pensiero.
Ed ecco perché le polemiche sul libro economico scatenate, con il suo solito atteggiamento snobistico, dal critico letterario de ”L’Espresso” Roberto Cotroneo non hanno rilevanza alcuna.
Certo i bibliofili restano perplessi di fronte alla confezione a volte discutibile di certi prodotti editoriali. Ma questo è un altro discorso, legittimo fin che si vuole, ma in nessun altro modo, del resto, sarebbe stato possibile avvicinare i giovani ad Epicuro e, citando a caso gli autori più venduti di queste collane a mille lire, a Freud, a Nietzche, Herman Hesse, Frank Kafka, Garcia Lorca, Edgar Allan Poe, Oscar Wilde; e persino - ricordando l’operazione editoriale di Laterza – ad uno studioso del Medioevo come Le Goff.
Altro che crisi del libro, dunque, ed altro che calo dei lettori!
Perché, allora, non considerare quanto oggi si sta verificando anche come un benefico effetto, per azione o reazione che sia, della scolarizzazione di massa e della stessa televisione, che non va pertanto demonizzata, non va pertanto combattuta né giudicata soltanto come formatrice - così è stato detto - di una generazione di imbecilli.
Certo, i rischi, le deviazioni, i pericoli derivanti dal suo cattivo uso sono ancora sotto gli occhi di tutti.
Ma perché, invece di sparare a zero su di essa, non porsi seriamente il problema anche dell’educazione all’intelligente uso del telecomando?
Questa sì che sarebbe un’operazione culturale degna del più grande rispetto.
E quando parlo di cultura mi riferisco alla sua intrinseca vitalità, a quella cultura cioè che non si limita a rinnovare il suo ossequio al passato senza provarlo alla luce della condizione presente, sena fare i conti con la realtà contemporanea
Mi si perdoni questa digressione, ma è da queste considerazioni che, io penso, bisogna muoversi per guardare al presente con occhi diversi, attenti certo a coglierne le contraddizioni, ma anche ad esaltarne le conquiste.
Insomma, se una riflessione critica va fatta sul problema da noi preso in esame, questa si pone ad un livello più alto, in direzione del raggiungimento di una qualità superiore.
Legittime, voglio dire, sono tutte le preoccupazioni sul futuro del libro. Ma intanto, sfatiamo i luoghi comuni, riconosciamo i progressi compiuti. E non limitiamoci, naturalmente, ad invitare a leggere, a leggere molto, a leggere sempre, che sarà certamente ottima cosa, ma è pur certo che, quando si è detto e ripetuto “leggere”, si è detta e ripetuta poco più di una parola, se subito dopo non si dica quali autori si debbano leggere e come leggerli.
Questo è il punto, ed è per questo che non ci rimane che ripensare in termini più positivi ai tre referenti del problema del leggere nella scuola, all’insegnate, allo studente e allo scrittore, e allo stretto rapporto che deve intercorrere tra essi.
Di qui allora bisogna partire per tentare di fare un discorso più credibile sul libro per le scuole, o meglio sul libro di narrativa per le scuole, così come viene proposto o stabilito dai programmi ministeriali, e non solo per le scuole medie ma oggi anche per il biennio delle scuole secondarie superiori, in attuazione del progetto di riforma della Commissione Brocca.
Non mi soffermerò ad analizzare in particolare i risultati conseguiti nelle scuole medie, dei quali d’altra parte non ho esperienza diretta, né su quelli al biennio dello Scientifico di Trani (dove da quest’anno è stata introdotta la riforma Brocca), dei quali se so qualcosa, è solo per sentito dire dai colleghi (io insegno al triennio).
Mi sembra invece importante sottolineare il ruolo di primo piano che fra i tre svolge ancora l’insegnante, perché è a lui che, tecnicamente, tocca indicare e valutare il romanzo da far leggere agli studenti, e perché è sua la responsabilità della crescita culturale morale e civile dei suoi allievi.
Certo, si sa che se il professore si limiterà ad ordinare ad ordinare di leggere tante pagine o tanti capitoli, lo studente non sarà invogliato a leggere e, se lo farà, sarà perché quasi costretto a farlo. Se invece l’insegnante introdurrà lo studente ai tempi del libro con opportuni riferimenti socio-culturali e, dopo la discussione dei contenuti espressi, guiderà il giovane a saper valutare l’organizzazione formale del testo, come parte integrante del messaggio e non come veste esterna, mi pare che lo studente avrà una graduale ma piena intelligenza del mondo e dello stile dello scrittore che gli è stato proposto.
Naturalmente, devo aggiungere (e i colleghi mi scusino per l’ovvietà di queste considerazioni) che se l’insegnante desidera svolgere fino in fondo il grande compito che gli compete, se egli cioè desidera formare la mente e la coscienza dei giovani, deve avere una sua formazione, una sua preparazione che non è mai compiuta una volta per tutte, ma deve continuamente aggiornarsi, e l’aggiornamento significa leggere ed accrescere di giorno in giorno le sue letture che, naturalmente, non saranno solo dei romanzi, e che alla fine diventeranno patrimonio-sostanza da mettere a disposizione degli alunni.
Io non so se oggi si possa parlare ancora di “missione” degli insegnanti, (e come si potrebbe del resto se l’attività del docente - per la scarsa attenzione che i politici continuano a dedicare alla scuola – resta così vergognosamente sottovalutata, costringendoli a campare soltanto, tra virgolette, di “valori morali”).
Eppure io so che non sono pochi oggi gli insegnanti che si rifiutano - per dirla con una metafora abusata - di fare “la parte dello specchio, destinato a riflettere luce senza assorbire calore”, e che si mostrano disponibili a prendere contatto con i problemi sempre nuovi di un sapere in movimento.
Mi rendo conto che il mio discorso diventa un po’ moralistico, ma io credo che non si possa svolgere in modo diverso il proprio mestiere di insegnanti se non mettendo a disposizione dei giovani tutto il sapere che si possiede e ciò che essi sentono, il bisogno di conoscere.
E sono convinto che i giovani si rendono subito conto della vera partecipazione del proprio insegnante da ciò che egli offre, ed è un dono quotidiano che i ragazzi sanno apprezzare quanto più è dato con convinzione e con entusiasmo. E l’insegnante ne ha in contraccambio l’attenzione (che è già gratitudine) e lo studio di ciò che propone.
Se è necessario, dunque, indispensabile, tener conto della preparazione, dell’impegno, dell’amore; se è importante il ruolo che egli svolge nel far crescere i propri allievi dandogli un po’ ogni giorno ciò di cui egli per primo si è nutrito, non è meno importante necessario e indispensabile tener conto degli studenti che nel mondo della scuola vivono durante gli anni della propria formazione spirituale civile e politica.
A proposito ancora dei giovani, mi sembra opportuno chiamare in causa la produzione editoriale, e in verità non sono pochi gli editori che dedicano alcune collane ai libri per i ragazzi.
Anzi in questi ultimi tempi l’attenzione rivolta alla narrativa degli autori italiani contemporanei ha contribuito a far conoscere agli studenti opere che fino ad alcuni anni fa i giovani conoscevano piuttosto tardi e forse non conoscevano mai più.
E mi riferisco, ad esempio, alle edizioni della Bompiani delle Scuole che, al di là degli ormai canonici “Il fu Mattia Pascal” di Pirandello, e de “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo, ha proposto autori come Romano Bilenchi, Gesualdo Bufalino, Maria Corti, Umberto Eco, Ennio Flaiano, Alberto Moravia; ai testi dell’Einaudi Scuola, con opere di Primo e Carlo Levi, Elsa Morante, Italo Calvino, Sebastiano Vassalli, Goffredo Parise, Cesare Pavese, Natalia Ginzburg, Beppe Fenoglio, Leonardo Sciascia, Lalla Romano e così via; ai volumi pubblicati dall’Editrice Theorema Libri, impegnata a riproporre autori operanti a cavallo dell’800 e del primo Novecento; e ancora tanti altri che non cito non solo per non tediarvi ulteriormente, ma perché davvero sarebbe troppo lungo elencare tutti.
A questo aspetto positivo della produzione editoriale è però da contrapporre uno negativo, e riguarda la scarsa attenzione dei grandi editori alla produzione degli scrittori pugliesi, come se davvero – ebbi già occasione di dire in altra sede – la letteratura in Italia finisca al di qua del Rubicone.
Ma questo è un fenomeno che non si registra solo per l’editoria scolastica.
Né fa testo, infatti, il caso, davvero eccezionale, de “I fuochi del Basento” di Raffaele Nigro, quest’anno introdotto come testo di narrativa anche nel biennio della mia scuola, del “Nicolino” di Maria Marcone e, nel passato, di “Pane verde” del sempre compianto Nino Palumbo.
Sarebbe a questo punto necessario fare una riflessione circostanziata anche sullo scrittore e sulla necessità dei rapporti più diretti tra questi e l’insegnante e lo studente, ma non voglio abusare ulteriormente della vostra attenzione e della vostra pazienza.
Mi limiterò pertanto a pormi in proposito una sola domanda, ed è la seguente: E’ giusto parlare di “romanzi per ragazzi”? E’ accettabile una definizione di “genere”? Ossia, se si prescinde dal particolare modo con cui viene confezionato un libro destinato alla scuola (il corredo di note, le schede, ecc.), ci sono davvero i libri scritti per ragazzi ed altri scritti per gli adulti?
Io credo di no (a meno che, s’intende, non si tratti di bambini delle scuole elementari).
Io credo che un libro per così dire riuscito, che abbia quindi in sé i requisiti per essere letto, vada bene e per gli adulti e per i giovani.
Per questo si verifica che, come succede al lettore adulto, anche i giovani, di fronte alle opere di un autore, possono avere reazioni diverse e contrastanti. Cioè c’è chi accetta un’opera e la trova riuscita e chi invece la respinge. Tutto dipenderà dalla sua sensibilità, e dall’educazione ricevuta in famiglia e, grazie all’opera paziente e costante dell’insegnante, a scuola.
Se dunque i tre protagonisti della vita della scuola (per ciò che attiene al libro di lettura), interagiscono tra di loro, ognuno di essi - e mi avvio alla conclusione - sarà in grado di donare energie, di muoversi in sintonia con gli altri e dare il suo contributo ad una circolazione continua e proficua d’intelligenza, di preparazione e di desiderio di dare e di avere.
“Noi, tutti noi - mi ricordava frequentemente il caro amico Nino Palumbo – da quando cominciamo a capire, siamo ciò che ogni giorno diventiamo; ogni giorno ci arricchiamo di qualche cosa, e l’esperienza ci fa uomini, e cioè siamo sempre più ricchi nella mente e nel cuore.”
Ed è per questo che, rivolgendomi ai giovani che hanno avuto la pazienza di ascoltare me e tutti gli oratori che mi hanno preceduto, mi permetto di parafrasare le ultime parole pronunciate nel nostro Teatro Comunale da Francesco De Sanctis, nel suo famoso “Discorso di Trani”, il 29 gennaio del 1883: “E’ l’educazione che ingrandisce i nostri cuori con l’ingrandire dei nostri intelletti, e trasforma le società e le fa simili a noi… Perciò, leggete, studiate, educatevi, siate intelligenti e buoni. L’Italia sarà quello che siete voi.”
Domenico di Palo
* Conferenza tenuta il 28 aprile 1993 nel Convegno, organizzato dalla Scuola Media di Trani “Giustina Rocca”, sul tema “Un romanzo in cartella”.
Buongiorno Prof. di Palo,
RispondiEliminaho letto con molto interesse la sua relazione del 1993, dal momento che da due anni svolgo con entusiasmo la "missione" di cui sopra scriveva: entusiasmo, aggiornamento, preparazione... tre punti fermi per svolgere la nostra "missione".
Un caro saluto e felice anno nuovo,
Pasquale Nuzzolese
p.s.
Le invio il link ad un mio sito di fotografie collegato alla piattaforma flckr:
http://www.flickr.com/photos/mestpasqual/