LA POESIA IN TERRA DI BARI *


Gentili Signore e Signori, nel ringraziarvi cordialmente per la vostra presenza, mi preme dare atto all’Assessorato allo Sport e Turismo del Comune di Trani della sensibilità dimostrata per aver accettato la mia proposta di inserire nel programma dell’Estate Tranese 1992 anche questa “Serata Poesia”.
Naturalmente, ci auguriamo adesso che i risultati rispondano in modo positivo alla serietà delle intenzioni.
Fidiamo tutti in ogni caso che, al di là dell’impegno profuso nell’organizzazione, la novità dell’iniziativa (tale è per Trani questa “Serata Poesia”) e il prestigio dei poeti che così gentilmente hanno accolto il nostro invito costituiscano già di per se motivo di interesse e di curiosità, che sono del resto la condizione preliminare per l’esito felice di ogni manifestazione.
Certo, i tempi in cui viviamo, chiudendo a ciascuno di noi ogni altro orizzonte che non sia quello della morte violenta e del degrado della vita civile, non sembrano più tempi per la poesia.
E d’altra parte, la spettacolarizzazione, a volte anche cinica, di ogni forma di vita e della stessa morte fanno quasi impallidire la memoria delle festose serate delle “estati romane”, quelle serate che, qualche anno fa, portarono i poeti e la poesia tra la gente, e alle quali, per alcuni versi, noi ci siamo richiamati nell’organizzare questo nostro incontro.
Eppure, nonostante la poesia oggi sembri impedita (o resa quasi afona dal potere dei sottosistemi della nostra storia e della nostra società: il mercato, la burocrazia), come per una riaffermazione dei valori positivi della vita, e contro la dilagante cultura della morte, ecco che essa si fa necessaria, si fanno necessari i poeti, e si fa necessaria la lettura pubblica dei testi, perché – io penso – è anche nello svincolarsi dal testo scritto, nel passare alla dizione libera, concentrata in se stessa, nella sua realtà espressiva e comunicativa, nella conquista di una sua libera oralità che la poesia ritrova una sua più concreta ragione d’essere.
Insomma, non più esercizio in solitudine, la poesia può oggi, nonostante tutto, riacquistare una sua legittimazione sociale, perché torna ad assumere una funzione terapeutica per chi la pratica e per chi la fruisce e perché, in forme più immediate della filosofia, e forse più di ogni altra arte, può aiutare a cogliere il senso dell’esistenza, della storia e della società nella quale viviamo.
Quanto poi al discorso se davvero la poesia – per il principio discusso ma infine sempre ribadito dell’autonomia di ogni forma d’arte – debba porsi il problema anche di una sua legittimazione sociale, beh, preferisco non affrontarlo in questa sede, perché non solo rischierei di essere pedante, ma perché, portandoci troppo lontano, questo discorso ci farebbe, oltretutto, perdere di vista la ragione fondamentale del nostro incontro, che è quella di descrivervi per sommi capi la situazione della poesia in Terra di Bari e di offrirvi una piccola antologia degli autori più significativi.
Orbene, sono senz’altro d’accordo con il prof. Michele Dell’Aquila, che della poesia pugliese contemporanea è tra gli studiosi più impegnati, nel riconoscere che nella nostra regione, e nella terra di Bari in particolare, la poesia ha compiuto grandi progressi in questi ultimi anni, sia se pensiamo ai nostri storici livelli di arretratezza, sia se pensiamo a certi epigoni carducciani pascoliani e postermetici (del resto rarissimi) che, pur lavorando con grande dignità, manifestavano in ogni caso, fino a qualche decennio fa, una sudditanza culturale.
E parlando di questi progressi non intendo riferirmi alla grande poesia, per così dire già consacrata, di Vittorio Bodini o a quella di Biagia Marniti.
Né mi riferisco alla produzione poetica di Marino Piazzolla (sulla cui opera, di qualità e statura europea, a riscattare un’ingiusta incomprensione della critica ufficiale, nel giugno del ’91 si è tenuto un Convegno di studi a Bari e si è dato vita ad una “Fondazione Piazzolla”).
O alla poesia di Vittore Fiore, la cui “meridionalità”, mi pare, fu già compiutamente espressa nel libro “Ero nato sui mari del tonno”, che è del 1954.
Né, tanto meno, a quella di Carlo Francavilla (che nel 1977 vinse con il volume di poesie “Le terre della sete” il Premio Viareggio Opera Prima) e del barese Gaetano Savelli, poeta e critico letterario.
Ma intendo riferirmi alle esperienze successive, isolate e frantumate fin che si vuole, ma tuttavia significative di una realtà in movimento.
Parlo, ad esempio, delle ricerche poetiche di Raffaele Nigro e di Leonardo Mancino (esemplarmente condensate ne “La metafisica come scienza”, uscita nel ’84, del primo, e ne “La dissipazione del talento”, che è del 1985, del secondo), due autori che pur essendo pugliesi o baresi di nascita, lo sono diventati per scelta di vita.
E parlo di Giuseppe Goffredo, un giovane poeta di Alberobello, dove è nato nel 1954, e la cui fama ha già varcato i confini regionali perché degnamente inserito nella bella antologia einaudiana dei “Nuovi poeti italiani” del 1982.
Parlo de “I Santi di casa mia” (1984) di Vito Maurogiovanni, autore di grande umanità e segretario regionale del Sindacato scrittori pugliesi; della poesia di Dino Claudio, nato a Molfetta nel ’31, ma operante ormai da alcuni anni a Roma.
E parlo, naturalmente di Tommaso Di Ciaula, orgogliosamente solitario ma già tradotto in mezza Europa, e della poesia di Ada De Judicibus, di Vittorino Curci, di Daniele Giancane, di Marco de Santis, di Angela De Leo, Primo Leone, Anna Santoliquido, Gianna Sallustio, Enrico Bagnato, Giuseppe Lagrasta, sui quali, perché tutti qui presenti questa sera, ancora torneremo.
A questi poi, per quanto riguarda la nostra provincia, oggi si affiancano altri nomi, e sono così tanti, che inevitabilmente si corre il rischio di ometterne qualcuno, e quasi tutti ormai con più opere di poesia all’attivo.
Dai baresi Vincenzo Rella, Giorgio Saponaro, Rino Bizzarro, Francesco Bellino, Vincenzo Gallina, Donato Continolo, Giuseppe Rosato, Franco Silvestri e Filippo Silvestri, al barlettano Ruggiero Mascolo, dall’altamurano Nico Mori a Maria Russo Rossi, Anna Gramegna, Grazia De Palma, anch’essi tutte di Bari; da Lia R aimondi, di Rutigliano, a Paolo De Ruvo, di Terlizzi; dal biscegliese Alberto Simone, all’andriese Enzo Sassaroli, alla molfettese Iole De Pinto; e ad Isabella Cusanno, infine, nata a Trani nel ’59 ma coratina e barese di adozione.
Esperienze isolate dicevamo, è vero, ma sulle quali, in questi ultimi anni si è sovrapposta, per la sua capacità di mobilitazione e di aggregazione delle energie creative del territorio, l’attività de La Vallisa, un gruppo di poeti e scrittori pugliesi che, con la pubblicazione dell’omonima rivista diretta da Daniele Giancane e di alcune collane di poesia e di narrativa, oggi costituisce (insieme all’esperienza tarantina della rivista “Portofranco” di Angelo Lippo, e a quella leccese dell’”In/cantiere” di Walter Vergallo) la realtà letteraria certamente più interessante di tutta la Puglia,
Sempre disponibili, entusiasti, e soprattutto innamorati di quella poesia che comunichi, che sia il segno di una vita e non un mero gioco linguistico, son più di dieci anni infatti che gli amici de “La Vallisa” stanno animando con le loro iniziative il panorama culturale della nostra regione.
Più di trenta fascicoli della rivista, decine e decine di libri di poesia e di narrativa, ma soprattutto dibattiti, convegni, letture pubbliche di versi, incontri con le scuole e tutta una pratica di “circuiti alternativi” tesi non solo a far conoscere i testi pubblicati ma anche a far parlare della poesia e della cultura in Puglia, sono il bilancio più che positivo di una presenza sempre attiva e dinamica.
Certo – come ebbi a dire in occasione del Seminario tenuto al “Piccolo teatro” di Bari, il 27 gennaio del 1989, per il decimo anniversario del gruppo – si tratta pur sempre di un’attività che potrebbe comportare alcuni problemi.
Se, infatti, la conclamata pratica dell’autogestione, per evidenti ragioni economiche, non è sempre possibile per tutti; la stessa volontà di restringere al massimo, nella pubblicazione dei testi, il potere di selezione (una volontà ispirata dall’istanza fondamentale del gruppo che la poesia possa essere praticata da chiunque) rischia oggettivamente di alimentare alcuni equivoci.
E di quali equivoci si tratti sanno molto bene chi si interessa di queste cose.
Non è forse vero, ad esempio, che non appena un qualunque giovanotto o signora di mezza età ha messo su in piedi dei versi o chiuso in un giro di belle frasi un sentimento ecco che ha creduto – per così dire – di essere ormai giunto in Elicona?
Ed ecco, allora, il nostro paese pullulare di poeti.
Ed ecco persino la nostra città rivelarsi terra feconda di scrittori di versi.
Quante sollecitazioni, quante richieste a leggere le proprie composizioni mi sono pervenute da ogni parte, infatti, alla notizia di questa manifestazione. Certamente fraintendendo la sua natura, ma tuttavia con la convinzione profonda di poter recitare legittimamente il proprio ruolo di poeta.
E quanta fatica, in verità, ho dovuto fare per chiarire per chiarire la funzione di questa nostra “serata”.
L’occasione comunque mi ha confermato che l?Italia davvero resta la terra dei santi, dei navigatori e dei poeti.
Voglio dire con questo – e senza tornare a innalzare a feticcio il libro di poesia – che se è cosa buona non scoraggiare la scrittura in versi (e in tal senso anche l’Amministrazione Comunale di Trani, nelle sedi e nei modi che si riterranno opportuni, potrebbe svolgere un ruolo positivo), è cosa ottima intanto educare anche alla sua funzione; così come è cosa ottima rammentare che là dove la parola scritta risulta mediocre e inadeguata mon c’è nulla di meglio che riaccostarsi a quella dei grandi poeti.
Non quindi meno facitori di versi – come pretenderebbero con atteggiamento elitario alcuni soloni della nostra cultura – ma certamente più lettori e ascoltatori di poesia, e certamente più consapevolezza non solo dell’ambiguità della parola (che appunto perché scritta finisce col fingere – “Io nel pensier mi fingo…”, Leopardi – col simulare la realtà, ma soprattutto della necessità di quella striglia di cui parla G. B. Marino, ossia di quel lavoro di lima senza il quale non ci può essere e non c’è mai la poesia.
Non sono forse “sudate” anche le “carte” dei nostri più grandi poeti?
Ma – al di là di queste ovvie considerazioni, di cui naturalmente vi chiedo scusa . tornando a “La Vallisa”, come non ricordare, infine, la grande funzione di promozione culturale da essa assunta in Puglia (e basti, per tutto, citare l’ormai tradizionale appuntamento annuale su “Donne e Poesia”, giunto alla sua ottava edizione, un convegno bellissimo, che di anno in anno si arricchisce di presenze nazionali e internazionali sempre più numerose e qualificate, e animato e curato dalla passione e dalla tenacia di Anna Santoliquido?
E chi può disconoscere il suo impegno nella valorizzazione di quelle energie creative cui la logica di certa industria culturale, la cosiddetta “linea nordica” di alcune case editrici (per le quali non esisterebbe poesia al di qua del Rubicone), nega spazio e aria?
Né, logicamente, va sottovalutato il ponte culturale gettato da “La Vallisa” tra la Puglia e alcuni paesi dell’area mediterranea e del quale, per esempio, l’antologia bilingue italo-slava, che affianca a 35 autori della ex Iugoslavia (purtroppo ora dilaniata da feroci guerre intestine) 21 poeti pugliesi, è un elemento molto significativo.
Questo, dunque, gentili signore e signori, un breve e senza dubbio lacunoso profilo della situazione della poesia in Terra di Bari.
E Trani – mi si potrebbe chiedere a questo punto – è forse del tutto assente in questo panorama? Trani che pure nella storia letteraria nazionale vanta nomi e collocazioni autorevoli, come, ad esempio, per citare alcuni scrittori relativamente più vicini a noi, il poeta Nicola Marchese, Luigi Chiarelli, Giovanni Macchia e il sempre compianto Nino Palumbo, la cui memoria purtroppo, per le squallide vicende legate alla storia del Premio intitolato al suo nome, non mi pare giustamente onorata in Puglia e nella nostra città.
E Trani, dicevamo dunque, con quali autori e quali opere può collocarsi oggi nel panorama da noi tracciato?
Il quadro che abbiamo sotto gli occhi – e al di là, naturalmente, delle rivelazioni improvvise di questi giorni – certo non è molto affollato.
Eppure, anche per Trani, si registra qualche presenza significativa.
Sarebbe di cattivo gusto dirvi qui della mia produzione letteraria, perciò preferisco ricordare soltanto Lorenzo Cimino, da alcuni anni operante a Como e autore di due validissimi libri di poesia. “Scacco matto”, del 1989, e “Atleta”, del 1991; il giornalista Silvestro Amore, anch’egli emigrato altrove, ma tranese di nascita e di cuore; Giuseppe Amorese che, soprattutto negli anni 60, ha pubblicato alcune dignitose sillogi di versi; Elio Liserre, avvocato a Milano; Maria De Palo, presente anche lei stasera e sulla quale quindi torneremo a parlare; Giuseppe Curci, salvatore Del Vecchio, che nei suoi due libri, usciti a metà degli anni Ottanta, si di mostra poeta dell’anima e non solo della parola; e infine il giovanissimo Vincenzo Curci, la cui prima raccolta di poesie, “Mosaico interiore” (1991), è giunta già alla seconda edizione.
E sarebbe tutto finalmente se, continuando a perseguire il nostro criterio di mera designazione geografica, non occorresse la necessità di dire qualcosa anche sulla cosiddetta “linea pugliese” della nostra poesia.
Pagine illuminanti hanno scritto in proposito non solo Michele Dell’Aquila ma anche Marco de Santis, acuto critico letterario oltre che poeta, il quale individuando sì, come Dell’Aquila, una sostanziale “ripresa in questi anni della poesia di sentimento”, d’altra parte rileva con intelligenza che il ritorno al sentimento non si spiega semplicisticamente come riflusso nel privato, ma s’impone, insieme alla razionalità, quale esigenza primaria connaturata all’uomo: è momento d’incontro, è cantabilità sociale, è bisogno di chiarezza comunicativa, dove entrano in gioco emotività e gusto formale. Questo spiega, del resto – aggiunge de Santis – il rifiuto della concezione dell’intellettuale-Vate a favore del poeta-uomo che sappia farsi (anche) voce amica, anticipatore o interprete dei disagi e dei bisogni spirituali e culturali della comunità. Questo spiega, inoltre, insieme alla limitata attenzione a certo avanguardismo esasperato, l’influenza positiva delle strutture “forti” della letteratura italiana (e straniera) e, sullo sfondo regionale, la suggestione della tradizione lirica novecentesca di matrice pugliese, con le sue punte più alte in Luigi Fallacara, Girolamo Comi, Marino Piazzolla, Vittorio Pagano, Raffaele Carrieri, Giacinto Spagnoletti, Biagia Marniti e Vittorio Bodini.
Verificheremo insieme, ora, la bontà di queste notazioni critiche, che in verità de Santis nel suo saggio riferiva ai poeti da lui presi in esame (e tra i quali, del resto, molti sono qui tra noi); e lo verificheremo dalla voce stessa degli autori che, accettando gentilmente il nostro invito, si avvicenderanno nella lettura dei loro testi.
Certo, forse non saranno dei grandi attori – osserverà qualcuno maliziosamente – come non lo era del resto Giuseppe Ungaretti quando recitava con la sua voce roca le sue poesie. Ma chi non ricorda la suggestione che veniva da quella voce? Ed è anche a quella suggestione che ci siamo ispirati nell’organizzare così come andrà ad articolarsi questa nostra “Serata Poesia”.
Domenico di Palo

* Relazione introduttiva alla “Serata Poesia” organizzata al Monastero di Colonna il 12 settembre 1992, poi pubblicata in “La poesia in Terra di Bari”, a cura di Domenico di Palo, Levante Editori, Bari 1995.

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