Ci sarebbe poco da aggiungere alle parole di Mario Cassanelli e di Franz Brunetti, amici carissimi, è vero, ma soprattutto intelligenti operatori culturali.
Ad essi, com’è naturale, va il mio più sincero ringraziamento, che si fa doppio e particolarmente affettuoso per il prof. Franz Brunetti che, per stare stasera qui con noi, non solo ha anticipato il suo viaggio da Pavia ma non si è nemmeno curato dell’intervento chirurgico da lui subito di recente e del raffreddore che lo ha colpito implacabile.
E grazie, grazie di cuore a tutti voi che, così numerosi, mi avete onorato della vostra cortese presenza, e alle associazioni culturali “Agorà” e FIDAPA, ai loro presidenti, il prof. Mario Cassanelli e la signora Gilda Caruso, che, come sempre disponibili e sensibili ai fatti di cultura, hanno voluto organizzare questa bella serata, e per giunta in questa magnifica sala che, giustamente, fra qualche giorno (il 13 aprile, mi pare,) sarà intitolata a Benedetto Ronchi, uno degli ultimi protagonisti della cultura del ‘900 a Trani, e che questo lapidario e questo museo promosse e diresse per qualche tempo.
Ma tornando ai relatori di questa serata, certo le loro riflessioni traggono ragion d’essere dal materiale bio-bibliografico da me accumulato, ma su questo materiale, con competenza, hanno saputo dire le cose più pertinenti e puntuali che, come tali, costituiscono esse un interessante contributo alla storia di Trani.
Ora non tocca a me dire se davvero merito tutti i loro lusinghieri apprezzamenti; così come non tocca a me ricordare i positivi giudizi espressi dal prof. Giovanni De Gennaro nella sua prefazione al libro e dallo stesso Franz Brunetti nella postfazione.
Ma penso comunque di non peccare di immodestia se mi permetto di affermare che sono pienamente convinto della utilità del mio lavoro.
Ho voluto infatti – come ho già scritto nella Premessa – non solo salvare dall’oblio alcuni personaggi della storia di Trani che, pur avendo prodotto una cultura politica, umanistica o giuridica di respiro nazionale e una ricerca creativa di primo piano, mi sembrano ormai quasi cancellati dalla memoria storica dei tranesi, ma anche offrire un servizio alla città, una guida che fosse di facile consultazione, e quindi fare i conti con lo stato attuale della cultura a Trani.
Di qui allora l’idea del dizionario alfabetico in cui mettere dentro, ma non come in un calderone, grandi medi e piccoli, e di qui l’idea di inserire in questo dizionario anche i viventi, e quindi sentire così il polso culturale della città, che a ragione Francesco De Sanctis, nel bellissimo “Discorso di Trani” (pronunciato nel nostro teatro il 7 gennaio del 1883) aveva definito “Atene delle Puglie”.
E quale risultato ne è venuto fuori?
Quale è lo stato attuale della cultura a Trani?
Orbene, al di là delle valutazioni già generalmente acclarate, questo mio libro mi ha confermato che davvero nel corso del Novecento Trani si è andata progressivamente impoverendo sul piano della produzione della cultura, tanto che ormai sono pochissimi gli operatori culturali residenti (il 19% delle “voci” registrate nel libro, e gran parte di essi neanche più in attività), mentre in passato questi vivevano e operavano a Trani, e la cultura da essi prodotta si diffondeva poi non solo nella regione ma anche in tutto il territorio nazionale.
Certo, non c’è più la Corte d’Appello, da cui un tempo s’irradiava tutta la cultura tranese, e anche Trani sconta – come scrive Brunetti nella sua postfazione – “la grande complessità dell’organizzazione della cultura del nostro tempo, che penalizza le città più piccole a favore delle più grandi, il sud a favore del centro e del nord del Paese”.
Ma sono 73 anni ormai che la Corte d’Appello è stata trasferita a Bari, e non mancano d’altra parte, intorno a noi, nella stessa provincia di bari, città che pur piccole come la nostra (vedi Molfetta, ad esempio), abbiano a differenza di Trani un’attività creativa molto ricca, oltre naturalmente ad una vita culturale operosa.
Che cosa voglio dire, allora?
E mi servo forse di questo libro per lanciare un allarme o anche un’accusa all’odierna Trani che costringe ad emigrare quelli che vogliono produrre cultura e a chi ha il coraggio di restare nemmeno tenta di offrire uno stimolo o na condizione per poter operare?
Ognuno tragga le conclusioni che vuole.
Per quanto mi riguarda aggiungo soltanto che la Trani di oggi a me non sembra molto diversa da tante altre città della Puglia con i suoi grossi problemi politici e sociali e le sue drammatiche contraddizioni, e dove, fatte le dovute eccezioni naturalmente, della cultura non si sa che farsene.
E sarebbe tutto, o almeno quanto basta per provocare – lo spero – una discussione che vada al di là del mio libro.
Tuttavia, vorrei aggiungere alcune considerazioni sul modo con cui è stata accolta l’opera.
E dico subito che l’accoglienza è stata non solo generalmente buona, considerato il contesto, ma persino entusiasta da parte di qualcuno, al quale naturalmente mi sento ora legato da particolare affinità elettiva.
Ora sarebbe un po’ noioso rispondere a tutti, anche perché ci vuole molto meno tempo a fare una cosa bene che a spiegare perché stata fatta male.
Ma intanto come definire l’atteggiamento di quelli che, non trovando altro da obiettare, ignorando quanto io stesso ho scritto nella Premessa, si sono accaniti a registrare l’assenza nel mio libro di questo o quell’altro personaggio e quindi ad enfatizzarla, questa assenza, con un impegno in verità un po’ sospetto.
Certo, io sapevo benissimo quale vespaio avrei potuto stuzzicare includendo nel mio dizionario anche i viventi: me l’aveva del resto già previsto il mio stesso editore, Nunzio Schena (che è qui con noi e che saluto cordialmente).
Ma ho voluto correre ugualmente il rischio, non trascurando tuttavia di dichiarare con molta franchezza che non ho mai avuto la presunzione di dare alle stampe un lavoro per così dire esaustivo, e soprattutto per le strutture artigianali di cui disponevo (assolutamente lontane cioè dall’assomigliare in qualche modo a quelle dei dipartimenti universitari, dove gli operatori culturali sono obbligati a depositare una copia di tutti i loro lavori, a quelle strutture a cui faceva cenno lo stesso Brunetti).
Ciò detto, mi pare comunque opportuno accennare ad alcuni criteri che hanno ispirato le mie scelte.
E allora, ribadito che non ho voluto scrivere il solito repertorio roboante dei personaggi illustri )come si usa fare nei paesi), ma un libro sulla cultura del ‘900 a Trani, o meglio su chi ha prodotto cultura e su chi la consuma, e non restringendo il rapporto con la città e con il secolo al solo dato anagrafico, ho cominciato col ritenere degni di essere menzionati i professori universitari, i ricercatori, i sociologi, gli economisti, gli scrittori e i poeti, gli artisti, i designer, i critici, i filosofi, gli storici, gli eruditi, i giornalisti professionisti, gli operatori dello spettacolo (attori, registi e commediografi), i musicisti, i giuristi, insomma quegli operatori culturali la cui attività si è estrinsecata in un ambito per così dire nazionale; e quindi, accanto a questi, coloro che, pur non travalicando un ambito localistico, avessero all’attivo, nel caso di scrittori, almeno due pubblicazioni, o una pubblicazione di qualche ambizione letteraria insieme ad una impegnata attività pubblicistica; nel caso di artisti più mostre personali; di musicisti la partecipazione a spettacoli pubblici; di attori anche l’impegno, per così dire istituzionalizzato, in direzione della promozione dello spettacolo.
Quanto alla lunghezza delle singole “voci”, per la novità delle informazioni riportate e quindi per il maggiore interesse che esser avrebbero potuto suscitare nel lettore, ho ritenuto di dare generalmente più spazio ai viventi e, quindi, contraddicendo certi canoni tradizionali, limitarmi, fatte naturalmente le dovute proporzioni, a riferire sui morti le notizie essenziali e indispensabili.
Nessuno scandalo quindi se alcune “voci” di viventi abbiano qualche rigo in più (cito ad esempio) di Vincenzo Del Giudice, l’insigne giurista, o di Nicola Fornelli, l’eminente pedagogista.
Che poi a questi criteri – da me in linea di massima rispettati – si siano affiancati anche parametri per così dire umorali, beh, è un altro discorso.
Ma questa è la ragione, non di certo secondaria, per la quale il libro è firmato da Domenico di Palo, e non da Mario Rossi o – si fa per dire – da Giuseppe Bianchi. Nel senso che ognuno, alla fine, nella sua opera esprime sempre se stesso e la sua storia, se si tratta di un’opera originale, naturalmente.
Per questo penso che il più bel complimento ricevuto è l’avermi detto che il libro si legge come un romanzo.
In ogni caso, stabiliti i criteri, propostimi determinati obiettivi, chiaritimi il disegno generale dell’opera, eccomi finalmente a riordinare le informazioni da me accumulate nel corso della mia più che decennale esperienza giornalistica; a sollecitare gli aggiornamenti bio-bibliografici ai miei amici sparsi per l’Italia; a rileggermi lo scarsissimo materiale pubblicato in proposito; a scrivere ex novo le “voci” relative a questo o a quell’altro personaggio il cui inserimento nel mio dizionario nel frattempo si era venuto per così dire legittimando.
Ed ecco quindi prendere corpo il libro, a cui poi l’aggiunta delle foto (quelle naturalmente che sono riuscito ad avere, e comunque il cospicuo numero di 118 sui 176 personaggi inseriti – tra cui, per chi ama le statistiche, 16 donne), degli scritti di Giovanni De Gennaro e Franz Brunetti (subito disponibili alla collaborazione) e di uno stupendo dipinto di Ivo Scaringi per la copertina hanno conferito l’aspetto attuale del volume che, da me proposto a Nunzio Schena, ha suscitato il vivo interesse dell’editore il quale, assumendosi per intero le spese di stampa, ha voluto pubblicarlo per i suoi tipi e, nella sua migliore tradizione editoriale, gli ha dato quella veste tipografica elegante, solida e funzionale che penso abbiate già avuto modo di apprezzare..
Ed eccomi, allora, con questo libro, qui con voi, e non a improvvisarmi storico locale (non ci s’improvvisa nessuno in fatto di produzione culturale), ma a mettere anche un punto fermo al mio lungo e appassionato dialogo con la città nella quale sono nato e sono vissuto, un dialogo da me avviato in varie forme, politiche giornalistiche o letterarie che siano, fin dalla fine degli anni Cinquanta.
Permettetemi allora di rivendicare con forza non solo la legittimità di questa mia fatica, ma anche il coraggio delle scelte, l’autonomia del giudizio critico e, soprattutto, il rifiuto categorico di ogni connotazione retorica che – non va dimenticato – invece si registra in tanta parte della storiografia locale.
Anche per questo, dunque, io penso di aver offerto a coloro che sono realmente interessati alla storia della nostra città un piccolo contributo, del materiale sufficiente su cui lavorare, e comunque un servizio utile per tutti.
Ed è per questo che, in ogni caso e malgrado tutto, vi invito a pensare al mio libro non solo come all’approdo naturale della mia lunga militanza culturale e civile, ma anche come ad un atto d’amore per Trani. Grazie.
Ad essi, com’è naturale, va il mio più sincero ringraziamento, che si fa doppio e particolarmente affettuoso per il prof. Franz Brunetti che, per stare stasera qui con noi, non solo ha anticipato il suo viaggio da Pavia ma non si è nemmeno curato dell’intervento chirurgico da lui subito di recente e del raffreddore che lo ha colpito implacabile.
E grazie, grazie di cuore a tutti voi che, così numerosi, mi avete onorato della vostra cortese presenza, e alle associazioni culturali “Agorà” e FIDAPA, ai loro presidenti, il prof. Mario Cassanelli e la signora Gilda Caruso, che, come sempre disponibili e sensibili ai fatti di cultura, hanno voluto organizzare questa bella serata, e per giunta in questa magnifica sala che, giustamente, fra qualche giorno (il 13 aprile, mi pare,) sarà intitolata a Benedetto Ronchi, uno degli ultimi protagonisti della cultura del ‘900 a Trani, e che questo lapidario e questo museo promosse e diresse per qualche tempo.
Ma tornando ai relatori di questa serata, certo le loro riflessioni traggono ragion d’essere dal materiale bio-bibliografico da me accumulato, ma su questo materiale, con competenza, hanno saputo dire le cose più pertinenti e puntuali che, come tali, costituiscono esse un interessante contributo alla storia di Trani.
Ora non tocca a me dire se davvero merito tutti i loro lusinghieri apprezzamenti; così come non tocca a me ricordare i positivi giudizi espressi dal prof. Giovanni De Gennaro nella sua prefazione al libro e dallo stesso Franz Brunetti nella postfazione.
Ma penso comunque di non peccare di immodestia se mi permetto di affermare che sono pienamente convinto della utilità del mio lavoro.
Ho voluto infatti – come ho già scritto nella Premessa – non solo salvare dall’oblio alcuni personaggi della storia di Trani che, pur avendo prodotto una cultura politica, umanistica o giuridica di respiro nazionale e una ricerca creativa di primo piano, mi sembrano ormai quasi cancellati dalla memoria storica dei tranesi, ma anche offrire un servizio alla città, una guida che fosse di facile consultazione, e quindi fare i conti con lo stato attuale della cultura a Trani.
Di qui allora l’idea del dizionario alfabetico in cui mettere dentro, ma non come in un calderone, grandi medi e piccoli, e di qui l’idea di inserire in questo dizionario anche i viventi, e quindi sentire così il polso culturale della città, che a ragione Francesco De Sanctis, nel bellissimo “Discorso di Trani” (pronunciato nel nostro teatro il 7 gennaio del 1883) aveva definito “Atene delle Puglie”.
E quale risultato ne è venuto fuori?
Quale è lo stato attuale della cultura a Trani?
Orbene, al di là delle valutazioni già generalmente acclarate, questo mio libro mi ha confermato che davvero nel corso del Novecento Trani si è andata progressivamente impoverendo sul piano della produzione della cultura, tanto che ormai sono pochissimi gli operatori culturali residenti (il 19% delle “voci” registrate nel libro, e gran parte di essi neanche più in attività), mentre in passato questi vivevano e operavano a Trani, e la cultura da essi prodotta si diffondeva poi non solo nella regione ma anche in tutto il territorio nazionale.
Certo, non c’è più la Corte d’Appello, da cui un tempo s’irradiava tutta la cultura tranese, e anche Trani sconta – come scrive Brunetti nella sua postfazione – “la grande complessità dell’organizzazione della cultura del nostro tempo, che penalizza le città più piccole a favore delle più grandi, il sud a favore del centro e del nord del Paese”.
Ma sono 73 anni ormai che la Corte d’Appello è stata trasferita a Bari, e non mancano d’altra parte, intorno a noi, nella stessa provincia di bari, città che pur piccole come la nostra (vedi Molfetta, ad esempio), abbiano a differenza di Trani un’attività creativa molto ricca, oltre naturalmente ad una vita culturale operosa.
Che cosa voglio dire, allora?
E mi servo forse di questo libro per lanciare un allarme o anche un’accusa all’odierna Trani che costringe ad emigrare quelli che vogliono produrre cultura e a chi ha il coraggio di restare nemmeno tenta di offrire uno stimolo o na condizione per poter operare?
Ognuno tragga le conclusioni che vuole.
Per quanto mi riguarda aggiungo soltanto che la Trani di oggi a me non sembra molto diversa da tante altre città della Puglia con i suoi grossi problemi politici e sociali e le sue drammatiche contraddizioni, e dove, fatte le dovute eccezioni naturalmente, della cultura non si sa che farsene.
E sarebbe tutto, o almeno quanto basta per provocare – lo spero – una discussione che vada al di là del mio libro.
Tuttavia, vorrei aggiungere alcune considerazioni sul modo con cui è stata accolta l’opera.
E dico subito che l’accoglienza è stata non solo generalmente buona, considerato il contesto, ma persino entusiasta da parte di qualcuno, al quale naturalmente mi sento ora legato da particolare affinità elettiva.
Ora sarebbe un po’ noioso rispondere a tutti, anche perché ci vuole molto meno tempo a fare una cosa bene che a spiegare perché stata fatta male.
Ma intanto come definire l’atteggiamento di quelli che, non trovando altro da obiettare, ignorando quanto io stesso ho scritto nella Premessa, si sono accaniti a registrare l’assenza nel mio libro di questo o quell’altro personaggio e quindi ad enfatizzarla, questa assenza, con un impegno in verità un po’ sospetto.
Certo, io sapevo benissimo quale vespaio avrei potuto stuzzicare includendo nel mio dizionario anche i viventi: me l’aveva del resto già previsto il mio stesso editore, Nunzio Schena (che è qui con noi e che saluto cordialmente).
Ma ho voluto correre ugualmente il rischio, non trascurando tuttavia di dichiarare con molta franchezza che non ho mai avuto la presunzione di dare alle stampe un lavoro per così dire esaustivo, e soprattutto per le strutture artigianali di cui disponevo (assolutamente lontane cioè dall’assomigliare in qualche modo a quelle dei dipartimenti universitari, dove gli operatori culturali sono obbligati a depositare una copia di tutti i loro lavori, a quelle strutture a cui faceva cenno lo stesso Brunetti).
Ciò detto, mi pare comunque opportuno accennare ad alcuni criteri che hanno ispirato le mie scelte.
E allora, ribadito che non ho voluto scrivere il solito repertorio roboante dei personaggi illustri )come si usa fare nei paesi), ma un libro sulla cultura del ‘900 a Trani, o meglio su chi ha prodotto cultura e su chi la consuma, e non restringendo il rapporto con la città e con il secolo al solo dato anagrafico, ho cominciato col ritenere degni di essere menzionati i professori universitari, i ricercatori, i sociologi, gli economisti, gli scrittori e i poeti, gli artisti, i designer, i critici, i filosofi, gli storici, gli eruditi, i giornalisti professionisti, gli operatori dello spettacolo (attori, registi e commediografi), i musicisti, i giuristi, insomma quegli operatori culturali la cui attività si è estrinsecata in un ambito per così dire nazionale; e quindi, accanto a questi, coloro che, pur non travalicando un ambito localistico, avessero all’attivo, nel caso di scrittori, almeno due pubblicazioni, o una pubblicazione di qualche ambizione letteraria insieme ad una impegnata attività pubblicistica; nel caso di artisti più mostre personali; di musicisti la partecipazione a spettacoli pubblici; di attori anche l’impegno, per così dire istituzionalizzato, in direzione della promozione dello spettacolo.
Quanto alla lunghezza delle singole “voci”, per la novità delle informazioni riportate e quindi per il maggiore interesse che esser avrebbero potuto suscitare nel lettore, ho ritenuto di dare generalmente più spazio ai viventi e, quindi, contraddicendo certi canoni tradizionali, limitarmi, fatte naturalmente le dovute proporzioni, a riferire sui morti le notizie essenziali e indispensabili.
Nessuno scandalo quindi se alcune “voci” di viventi abbiano qualche rigo in più (cito ad esempio) di Vincenzo Del Giudice, l’insigne giurista, o di Nicola Fornelli, l’eminente pedagogista.
Che poi a questi criteri – da me in linea di massima rispettati – si siano affiancati anche parametri per così dire umorali, beh, è un altro discorso.
Ma questa è la ragione, non di certo secondaria, per la quale il libro è firmato da Domenico di Palo, e non da Mario Rossi o – si fa per dire – da Giuseppe Bianchi. Nel senso che ognuno, alla fine, nella sua opera esprime sempre se stesso e la sua storia, se si tratta di un’opera originale, naturalmente.
Per questo penso che il più bel complimento ricevuto è l’avermi detto che il libro si legge come un romanzo.
In ogni caso, stabiliti i criteri, propostimi determinati obiettivi, chiaritimi il disegno generale dell’opera, eccomi finalmente a riordinare le informazioni da me accumulate nel corso della mia più che decennale esperienza giornalistica; a sollecitare gli aggiornamenti bio-bibliografici ai miei amici sparsi per l’Italia; a rileggermi lo scarsissimo materiale pubblicato in proposito; a scrivere ex novo le “voci” relative a questo o a quell’altro personaggio il cui inserimento nel mio dizionario nel frattempo si era venuto per così dire legittimando.
Ed ecco quindi prendere corpo il libro, a cui poi l’aggiunta delle foto (quelle naturalmente che sono riuscito ad avere, e comunque il cospicuo numero di 118 sui 176 personaggi inseriti – tra cui, per chi ama le statistiche, 16 donne), degli scritti di Giovanni De Gennaro e Franz Brunetti (subito disponibili alla collaborazione) e di uno stupendo dipinto di Ivo Scaringi per la copertina hanno conferito l’aspetto attuale del volume che, da me proposto a Nunzio Schena, ha suscitato il vivo interesse dell’editore il quale, assumendosi per intero le spese di stampa, ha voluto pubblicarlo per i suoi tipi e, nella sua migliore tradizione editoriale, gli ha dato quella veste tipografica elegante, solida e funzionale che penso abbiate già avuto modo di apprezzare..
Ed eccomi, allora, con questo libro, qui con voi, e non a improvvisarmi storico locale (non ci s’improvvisa nessuno in fatto di produzione culturale), ma a mettere anche un punto fermo al mio lungo e appassionato dialogo con la città nella quale sono nato e sono vissuto, un dialogo da me avviato in varie forme, politiche giornalistiche o letterarie che siano, fin dalla fine degli anni Cinquanta.
Permettetemi allora di rivendicare con forza non solo la legittimità di questa mia fatica, ma anche il coraggio delle scelte, l’autonomia del giudizio critico e, soprattutto, il rifiuto categorico di ogni connotazione retorica che – non va dimenticato – invece si registra in tanta parte della storiografia locale.
Anche per questo, dunque, io penso di aver offerto a coloro che sono realmente interessati alla storia della nostra città un piccolo contributo, del materiale sufficiente su cui lavorare, e comunque un servizio utile per tutti.
Ed è per questo che, in ogni caso e malgrado tutto, vi invito a pensare al mio libro non solo come all’approdo naturale della mia lunga militanza culturale e civile, ma anche come ad un atto d’amore per Trani. Grazie.
Domenico di Palo
* Relazione letta in occasione della presentazione del libro “La cultura del ‘900 a Trani”, organizzata il 30 marzo del 1996 nella sala Lapidario del Museo Diocesano di Trani con relazioni di Mario Cassanelli e Franz Brunetti.
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