La recente pubblicazione, a cura del “Giornale di Trani” e con prefazione del Mons Vincenzo Franco, di un’opera postuma di Raffaello Piracci (“Trani in guerra – La vita di Trani durante la seconda guerra mondiale”) ha richiamato alla memoria un periodo drammatico della storia della nostra città, quello dei primi anni quaranta, gli anni appunto della seconda guerra mondiale.
In verità a ricordarci che anche Trani, pur non conoscendo la furia nazista di Marzabotto, di S. Anna di Stazzema e delle Fosse Ardeatine, fu nell’occhio del ciclone della guerra fascista, di Piracci nel 1983, egli ancora in vita, era uscito, ricco di rievocazioni testimonianze e documenti, un volume dal titolo “Accadde a Trani nel ‘43”. Ma se in quel libro l’attenzione era prevalentemente tesa a ricostruire alcuni episodi verificatisi all’epoca a Trani, in questo saggio, nato da ricordi personali e da riflessioni sulle esperienze vissuta, l’autore non solo si spinge anche nei dintorni di quell’anno fondamentale nella storia dell’Italia contemporanea, ma si sofferma soprattutto sulla vita della città durante il periodo bellico, sugli umori della popolazione, dalle prime suggestioni dell’educazione fascista, soprattutto nei giovani, alle angosciose preoccupazioni degli adulti per i tragici effetti della guerra. E quindi sul malcontento e lo scoramento diffusi per una guerra che più si prolungava nel tempo più si rivelava “ingiusta e non sentita”. E poi sui disagi e sugli stenti che lo stato di guerra, sebbene Trani fosse lontana dalle zone di combattimento, apportò nella vita di ogni giorno, nelle abitudini quotidiane della popolazione.
Così ecco l’oscuramento serale e notturno, disposto con norme severissime; ecco il divieto di circolazione, per economia di benzina, di tutti i veicoli a motore; ecco i vani ritenuti più robusti di alcuni portoni adibiti a “rifugio antiaereo in caso di allarme”. Ed ecco, tra le altre limitazioni imposte dallo “stile fascista”, “il divieto di feste danzanti, persino in occasione di nozze”, l’uso delle carte annonarie per il razionamento che, cominciato con lo zucchero e il caffè, andò poi estendendosi non solo a tutti i generi alimentari di prima necessità ma anche a tutti gli altri settori, compreso l’abbigliamento; ecco per i poveri acquirenti la consuetudine abituale della fila e della coda, alla quale, ovviamente, si sottraevano gerarchi e gerarchetti “con la borse sempre piene di prodotto eccedente la razione e di prima scelta”. Ed ecco il ricorso al contrabbando e alla borsa nera e, come ultimo regalo dell’intensa campagna propagandistica organizzata dal governo fascista contro gli Anglo-americani, lo “sfollamento” che costrinse tante famiglie tranesi ad esporsi ai disagi di una sistemazione più precaria perché “trovarono proprio nelle località in cui erano sfollati – e fu anche il caso di chi scrive queste note – quei pericoli che non avrebbero corsi” restando in città.
E infine, non a fare da sfondo a questo clima bellico, ma per delinearne la tragica essenza, ecco i grandi eventi traumatici: i circa trecento militari tranesi caduti e dispersi su tutti i fronti; il bombardamento del 27 aprile ’43 al porto e alle casermette che provocò la morte di 21 civili e 14 soldati; l’occupazione tedesca del settembre del ’43, che, iniziata con nuovi bombardamenti sulla città, provocò l’episodio, così decantato dalla pubblicistica locale, della mancata fucilazione dei cinquanta ostaggi il 18 settembre; l’eroico sacrificio di alcuni soldati italiani (tre ufficiale, due sottufficiali e cinque militari di truppa) che il 14 dello stesso mese, alla “Porta di Barletta”, contrapponendosi alla viltà (di cui però Piracci non fa cenno) di tanti altri ufficiali che dalla caserma e dalle casermette si erano dati alla fuga con le valigie piene, lasciarono la vita in uno scontro a fuoco con le forze tedesche.
Su quest’ultimo episodio mi preme sottolineare che, purtroppo, ancora oggi la memoria storica della città, e non solo quella, stenta a fare per così dire i conti fino in fondo. Eppure, dopo quelli di Porta San Paolo a Roma, lo scontro a fuoco del 14 settembre a Trani fu uno dei primi esempi di resistenza armata contro i nazisti. Che si tratti anche in questo caso della sindrome di Cefalonia, ossia dello stesso silenzio che per anni è pesato gravemente sul massacro della divisione italiana “Acqui” messo sistematicamente in atto dall’esercito tedesco nell’isola greca all’indomani dell’8 settembre del ’43?
A rendere più mossa la narrazione, in verità sempre lineare e partecipe, Piracci non si esime, a volte, dall’introdurvi alcune “amene curiosità”, come ad esempio il racconto della mucca del duce, che appositamente scelta per fornire il latte fresco a Mussolini (che ne era un gran consumatore) durante una sua breve residenza a Trani nel luglio del ’41, perse d’un tratto il suo prezioso alimento e fu in tutta fretta sostituita da un’altra nelle sue stesse “floride condizioni di salute”.-
Insomma si tratta d’un libro che, anche perché scritto da un testimone oculare, fornisce materia più che sufficiente per una ricostruzione puntuale di un momento cruciale della storia della nostra città.
Per questo ne raccomando la lettura, e al di là di alcuni limiti per così dire metodologici che mi pare di cogliere qua e là, come ad esempio una certa sospensione del giudizio critico, soprattutto nell’analisi degli anni immediatamente successivi alla fine del conflitto. Gli anni nei quali, tra contraddizioni politiche e anche culturali, si passò dal regime di guerra a quello di democrazia repubblicana e sui quali, mi piace ricordare, sulle pagine di “SINGOLARE/PLURALE”, nel settembre del 1984, l’amico Franz Brunetti avviò le prime illuminanti riflessioni.
Domenico di Palo
* Pubblicato in “Il Giornale di Trani” del 17 marzo del 2001; e in “Corrispondenze”, n. 2, marzo-aprile 2001.
In verità a ricordarci che anche Trani, pur non conoscendo la furia nazista di Marzabotto, di S. Anna di Stazzema e delle Fosse Ardeatine, fu nell’occhio del ciclone della guerra fascista, di Piracci nel 1983, egli ancora in vita, era uscito, ricco di rievocazioni testimonianze e documenti, un volume dal titolo “Accadde a Trani nel ‘43”. Ma se in quel libro l’attenzione era prevalentemente tesa a ricostruire alcuni episodi verificatisi all’epoca a Trani, in questo saggio, nato da ricordi personali e da riflessioni sulle esperienze vissuta, l’autore non solo si spinge anche nei dintorni di quell’anno fondamentale nella storia dell’Italia contemporanea, ma si sofferma soprattutto sulla vita della città durante il periodo bellico, sugli umori della popolazione, dalle prime suggestioni dell’educazione fascista, soprattutto nei giovani, alle angosciose preoccupazioni degli adulti per i tragici effetti della guerra. E quindi sul malcontento e lo scoramento diffusi per una guerra che più si prolungava nel tempo più si rivelava “ingiusta e non sentita”. E poi sui disagi e sugli stenti che lo stato di guerra, sebbene Trani fosse lontana dalle zone di combattimento, apportò nella vita di ogni giorno, nelle abitudini quotidiane della popolazione.
Così ecco l’oscuramento serale e notturno, disposto con norme severissime; ecco il divieto di circolazione, per economia di benzina, di tutti i veicoli a motore; ecco i vani ritenuti più robusti di alcuni portoni adibiti a “rifugio antiaereo in caso di allarme”. Ed ecco, tra le altre limitazioni imposte dallo “stile fascista”, “il divieto di feste danzanti, persino in occasione di nozze”, l’uso delle carte annonarie per il razionamento che, cominciato con lo zucchero e il caffè, andò poi estendendosi non solo a tutti i generi alimentari di prima necessità ma anche a tutti gli altri settori, compreso l’abbigliamento; ecco per i poveri acquirenti la consuetudine abituale della fila e della coda, alla quale, ovviamente, si sottraevano gerarchi e gerarchetti “con la borse sempre piene di prodotto eccedente la razione e di prima scelta”. Ed ecco il ricorso al contrabbando e alla borsa nera e, come ultimo regalo dell’intensa campagna propagandistica organizzata dal governo fascista contro gli Anglo-americani, lo “sfollamento” che costrinse tante famiglie tranesi ad esporsi ai disagi di una sistemazione più precaria perché “trovarono proprio nelle località in cui erano sfollati – e fu anche il caso di chi scrive queste note – quei pericoli che non avrebbero corsi” restando in città.
E infine, non a fare da sfondo a questo clima bellico, ma per delinearne la tragica essenza, ecco i grandi eventi traumatici: i circa trecento militari tranesi caduti e dispersi su tutti i fronti; il bombardamento del 27 aprile ’43 al porto e alle casermette che provocò la morte di 21 civili e 14 soldati; l’occupazione tedesca del settembre del ’43, che, iniziata con nuovi bombardamenti sulla città, provocò l’episodio, così decantato dalla pubblicistica locale, della mancata fucilazione dei cinquanta ostaggi il 18 settembre; l’eroico sacrificio di alcuni soldati italiani (tre ufficiale, due sottufficiali e cinque militari di truppa) che il 14 dello stesso mese, alla “Porta di Barletta”, contrapponendosi alla viltà (di cui però Piracci non fa cenno) di tanti altri ufficiali che dalla caserma e dalle casermette si erano dati alla fuga con le valigie piene, lasciarono la vita in uno scontro a fuoco con le forze tedesche.
Su quest’ultimo episodio mi preme sottolineare che, purtroppo, ancora oggi la memoria storica della città, e non solo quella, stenta a fare per così dire i conti fino in fondo. Eppure, dopo quelli di Porta San Paolo a Roma, lo scontro a fuoco del 14 settembre a Trani fu uno dei primi esempi di resistenza armata contro i nazisti. Che si tratti anche in questo caso della sindrome di Cefalonia, ossia dello stesso silenzio che per anni è pesato gravemente sul massacro della divisione italiana “Acqui” messo sistematicamente in atto dall’esercito tedesco nell’isola greca all’indomani dell’8 settembre del ’43?
A rendere più mossa la narrazione, in verità sempre lineare e partecipe, Piracci non si esime, a volte, dall’introdurvi alcune “amene curiosità”, come ad esempio il racconto della mucca del duce, che appositamente scelta per fornire il latte fresco a Mussolini (che ne era un gran consumatore) durante una sua breve residenza a Trani nel luglio del ’41, perse d’un tratto il suo prezioso alimento e fu in tutta fretta sostituita da un’altra nelle sue stesse “floride condizioni di salute”.-
Insomma si tratta d’un libro che, anche perché scritto da un testimone oculare, fornisce materia più che sufficiente per una ricostruzione puntuale di un momento cruciale della storia della nostra città.
Per questo ne raccomando la lettura, e al di là di alcuni limiti per così dire metodologici che mi pare di cogliere qua e là, come ad esempio una certa sospensione del giudizio critico, soprattutto nell’analisi degli anni immediatamente successivi alla fine del conflitto. Gli anni nei quali, tra contraddizioni politiche e anche culturali, si passò dal regime di guerra a quello di democrazia repubblicana e sui quali, mi piace ricordare, sulle pagine di “SINGOLARE/PLURALE”, nel settembre del 1984, l’amico Franz Brunetti avviò le prime illuminanti riflessioni.
Domenico di Palo
* Pubblicato in “Il Giornale di Trani” del 17 marzo del 2001; e in “Corrispondenze”, n. 2, marzo-aprile 2001.
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