SU NINO PALUMBO PERCHE’ TANTO OBLIO? *

Caro direttore,
ti scrivo perché la recente pubblicazione di un nuovo libro su Nino Palumbo non solo mi ha fatto immenso piacere per la rinnovata attenzione all’opera di un caro amico che fu scrittore serio e meditato, ma mi ha messo anche, per così dire, un po’ di veleno sulla coda ed io, nonostante la mia non più giovane età, mi sento nella condizione di chi se non parla… scoppia.
Il libro, dunque, uscito nel 2004 da Marsilio a cura di Francesco De Nicola, professore di letteratura italiana all’Università di Genova, e di Pier Antonio Zannoni, giornalista professionista che lavora alla RAI genovese, raccoglie le relazioni presentate al convegno nazionale di studi “Nino Palumbo, vent’anni dopo” (da cui il titolo del volume) che si è tenuto a Rapallo il 20 giugno 2003.
Dopo, infatti, le parole introduttive dell’illustre storico della letteratura italiana Giuliano Manacorda, che ha seguito fin dagli esordi la produzione narrativa di Nino Palumbo, ecco un denso saggio sull’”Itinerario della scrittura palumbiana” di Sebastiano Martelli, il critico già autore di una monografia sullo scrittore tranese uscita nel 1979 e che successivamente ha svolto un’analisi accurata degli inediti di Palumbo. Ed ecco la relazione di Luigi Surdich su “Gli impiegati di Palumbo”, ossia sui problemi di coscienza dei protagonisti dei romanzi “Impiegato d’imposte” e de “Il giornale”; ed ecco uno scritto di Elvio Guagnini su “La mia università”, il bel libro di racconti che Palumbo pubblicò da Bastogi nel 1981; e poi un curioso intervento di Massimo Bacigalupo su “Palumbo nel Tigullio”, dove lo scrittore si trasferì con la moglie Donatella nel 1951 (aveva trent’anni) per coltivare nella solitudine di S. Michele di Pagana la vocazione letteraria che gli era scoppiata dentro. Ed ecco, di Claudio Marabini, un altro studio sui racconti del Nostro (“Alcuni racconti di Palumbo”), a cui segue un interessante saggio di Francesco De Nicola, il curatore del volume, su “’Prove’: una rivista e un premio letterario”, che ripercorre la storia della rivista che Palumbo fondò nel 1960 (e alla quale collaborarono nomi prestigiosi della letteratura italiana, tra cui Leonardo Sciascia, che vi pubblicò i primi capitoli de “Il giorno della civetta”) e del premio “Rapallo-Prove” per la narrativa inedita, da lui voluto nel 1962 e della cui giuria, prima presieduta da Maria Bellonci e poi dall’indimenticato Mario Sansone, a testimonianza dell’importanza di quella manifestazione e della capacità di Palumbo di riunire intorno a sé rappresentanti altamente qualificati della letteratura e della critica italiane, fecero parte Elio Filippo Accocca, Giorgio Bàrberi Squarotti, Lanfranco Caretti, Bartolo Cattafi, Giuliano Manacorda e Carlo Salinari.
Chiude il volume uno studio sull'ultimo Palumbo (Dal "Serpente malioso" a "Domanda marginale") di Daniela Bisello Antonucci.
Il libro, dunque, come si evince dalle relazioni riportate, è un ennesimo eloquente e significativo contributo alla già ricca bibliografia critica sul compianto scrittore tranese, un contributo che giustamente Giuliano Manacorda, a conclusione del suo intervento introduttivo, definisce “un atto dovuto, all’uomo e allo scrittore davvero troppo a lungo obliato nella sua prima patria pugliese e nella seconda, Rapallo. E che oggi - scrive l’illustre critico romano - vogliamo riprendere per ricordare l’uomo caro e sincero, ospitale, e lo scrittore che avendo segnato ad alto livello una stagione della nostra letteratura, penso che meriti non soltanto le parole che noi oggi gli dedichiamo, ma una nuova e approfondita considerazione da parte dell’editoria, della critica, dei lettori”.
Parole sacrosante, aggiungo io, di fronte alle quali non ci resta che annuire in silenzio o, al limite, aggiungere a fior di labbra: E’ vero, è tutto vero!...
Ma allora, mi dirai, perché aprire questa lettera parlando di “veleno sulla coda”?
Perché, ti dico subito, a fronte del piacere per un giudizio che giustamente rivendica all’opera di Palumbo uun ruolo più significativo nel panorama della letteratura italiana del secondo Novecento, ecco il mio rammarico per l’oblio nel quale invece Egli è caduto nella sua “prima patria pugliese”, a Trani e nella regione; ed ecco la mia amarezza e la mia delusione per l’inutilità del grande impegno che, per più di due anni, insieme all’amico Eduardo De Simola di “Obiettivo Trani”, io ho profuso per coinvolgere l’Amministrazione comunale in un'iniziativa che, a venti anni dalla sua morte, ricordasse degnamente lo scrittore tranese.
Eppure da parte del sindaco, con il quale, in più occasioni, l’amico De Simola ed io abbiamo avuto l’onore di parlare della cosa, non sono mai mancate parole di fervida adesione alla nostra proposta (“Stia tranquillo, professore. Faremo tutto quello che lei vuole per Nino Palumbo”); né sono mancate, come a sottolinerare l’assoluta serietà di questa adesione, solenni dichiarazioni di principio (“Noi investiamo tutto sulla cultura!”).
Di qui l’invito ufficiale, per sollecitarne la collaborazione, a proseguire i miei contatti con il prof. Sebastiano Martelli, animatore, con Francesco De Nicola, del convegno organizzato a Rapallo il 20 giugno del 2003 e che oggi certamente è lo studioso più impegnato delle opere di Palumbo.
Di qui l’idea di ripubblicare con l’editore Avagliano (quello del best seller “Il resto di niente” di Enzo Striano, e con il quale sono stati già definti spese e titoli) le due più importanti opere di Palumbo, “Il giornale” e “Pane verde”.
Di qui la proposta di una giornata di studi da tenere a Trani con la partecipazione di studiosi e docenti delle Università di Bari, Salerno, Roma e Genova.
Di qui, infine, la previsione di incontri con studenti e insegnanti delle scuole secondarie di Trani, previa distribuzione alle scuole delle due opere riedite dello scrittore.
Di qui, insomma, un progetto qualificato, per la realizzazione del quale il prof. Martelli assicurava tutta la sua disponibilità a dare una collaborazione “per il valore - egli scriveva in una lettera al sindaco di Trani del 9 dicembtre 2003 - che l’opera di Palumbo conserva mella letteratura italiana contemporanea e per i rapporti personali di amicizia che mi hanno legato allo scrittore.”
Ma, nonostante tutto, cominciano a passare settimane, passano mesi, passano anni e per Nino Palumbo al Palazzo di Città non si muove un dito. E quando alle nostre sollecitazioni (quella mia e di De Simola) viene risposto di ricontattare il prof. Martelli per ribadire la precisa volontà dell’Amministrazione comunale “di dare corpo ad una iniziativa che onori degnamente la memoria del nostro illustre concittadino”, torno a sperare che si tratti davvero della volta buona…
E, naturalmente, capita che un giorno l’amico De Simola mi faccia sapere che è tutto rinviato all’anno nuovo (?) e che per ora su Palumbo al Comune non si pensa proprio niente.
Ecco, allora, caro direttore, perché c’è veleno sulla coda, ecco perché sono incazzato nero, ecco perché vado dicendo in giro che in futuro non mi presterò più a fare certe figure con il prof. Martelli; ed ecco perché mi chiedo come mai ho ancora a che fare con i politici.
Hai ragione – mi dirai – ma la triste esperienza della biblioteca comunale, da anni ancora impraticabile nonostante le sempre più ferme promesse di muovere mari e monti per riportarla al suo antico splendore, avrebbe pur dovuto insegnarmi qualcosa.
Ma come vedi, purtroppo, la mia ingenuità non conosce confini.
Nella vita, si sa, non si finisce mai d’imparare, né penso che, per quanto mi riguarda, finirò domani o dopodomani, quando con l’amico De Simola mi recherò dal sindaco di turno e gli chiederò, per esempio, come si muoverà l’Amministrazione comunale per celebrare degnamente, nel 2006, il centenario della morte di un altro grande “figlio” di Trani come Valdemaro Vecchi.
Cari saluti, e grazie per l’ospitalità.
Domenico di Palo

* In “Il Giornale di Trani , 8 luglio 2005

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